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Cronaca
22.03.2016 - 19:000
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40

Obama a Cuba secondo Franco Cavalli: «embargo e Guantamano, due punti non negoziabili»

Franco Cavalli analizza il viaggio di Obama. «Lui è disposto a negoziare, ma dipende tutto dal Congresso. Gli Stati Uniti stanno cercando di riguadagnare il terreno perso in America Latina»

BELLINZONA - Barack Obama è sbarcato a Cuba, un viaggio già definito come storico e che potrebbe rappresentare un punto di svolta per i rapporti fra i due paesi. Cosa succederà? E gli Stati Uniti che ruolo potranno avere nel Sudamerica del futuro? Lo abbiamo chiesto a Franco Cavalli, profondo conoscitore dell'isola.Cosa pensa del viaggio di Obama a Cuba?«È senza dubbio positivo, perché Cuba ha perso centinaia di miliardi di franchi e di dollari a causa dell'embargo e questa visita potrebbe condurre a termine, anche se non c'è da aspettarselo a breve termine, alla fine di questa disgraziatissima misura con la quale gli USA per cinquant'anni hanno cercato di strozzare Cuba senza riuscirci».Si potrà andare verso una normalizzazione dei rapporti, secondo lei?«Dipende soprattutto dagli americani. I cubani non accetteranno nulla se rimane l'embargo e se non viene loro promesso che entro un certo lasso di tempo di riavere Guantanamo, due punti non negoziabili. Nel frattempo qualche miglioramento c'è stato, ci sono i voli aerei, c'è la possibilità per più statunitensi di andare a Cuba pur non essendo completamente una meta libera. Il problema di fondo, l'embargo, rimane, e secondo me quasi tutto dipende da quello. Obama è disposto a negoziare, ma ha bisogno dell'approvazione del Congresso, che è a maggioranza repubblicana e non credo lo seguirebbe. Lui farà tutto quel che può per alleggerire però non riuscirà a ottenere i due punti fondamentali. Bisognerà poi vedere chi verrà dopo di lui».A questo punto, saranno Clinton o Trump. Chi sarebbe meglio per i rapporti con Cuba?«Dipenderà di più dalla maggioranza che ci sarà al Congresso, se sarà ancora repubblicana "scatenata" sarà dura per entrambi. Ieri mattina ho fatto un dibattito su una radio romana con un ambasciatore americano in Francia, diceva che crediamo che Trump sia peggio della Clinton, ma potrebbe non essere vero: lei come il marito è a favore degli interventi umanitari, come in Libia, mentre Trump, esponente della destra repubblicana, preferisce un disimpegno a livello internazionale, cioè "pensiamo ai nostri affari e lasciamo morire di fame gli altri". Visto che una buona parte dell'economia statunitense vuole fare degli affari con Cuba per far sì che non siano solo gli europei a poterli avere, penso che i due si equivarrebbero, su questo punto».Una normalizzazione dei rapporti rappresenterebbe la fine del socialismo inteso nella declinazione cubana?«Per 50 anni c'è stata una guerra tiepida quasi combattuta, con invasioni e decine di tentativi di uccidere Fidel Castro. Una serie di misure prese da Cuba erano dovute a ciò, quando gli americani li lasceranno tranquilli hanno sempre detto che delle maglie verranno allentate. Già ora non ci sono quasi più prigionieri politici. Un domani, senza embargo, sarà più facile esprimersi e avere una maggior partecipazione di chi è contro il socialismo».Se USA e Cuba cominciassero ad andare più d'accordo, potrebbe cambiare anche la situazione del Venezuela?«Al di là di Cuba che con gli USA hanno una situazione particolare, gli statunitensi stanno cercando di riguadagnare il terreno perso in America Latina, con i colpi di stato in Honduras, in Paraguay. Pensiamo all'intervento massiccio delle propaganda americana nelle elezioni in Bolivia. In Venezuela c'è una situazione assai tesa, con i due schieramenti pronti quasi a mangiarsi, con la maggioranza parlamentare contro il governo, il quale però ha gli altri poteri della società che lo sostengono. Gli USA sarebbero contenti di non avere più questo governo, che oltre ad aiutare economicamente Cuba ed altri governi di sinistra, come il Nicaragua, la Bolivia, l'Ecuador e il Salvador, mette in pericolo degli interessi economici americani. Non vedo un collegamento fra le relazioni con Cuba con la visione imperialistica che gli USA hanno sul resto dell'America Latina».
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