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Cronaca
05.05.2017 - 15:250
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17

La scelta di una famiglia: vivere in Italia, lavorare in Ticino. "Provo tristezza per quello che rimane il mio paese. Ma al Governo delle famiglie importa ben poco"

Una giovane mamma, che scese in piazza contro i tagli, racconta la decisione di lasciare il Cantone. "Penso al futuro dei miei figli. Qui c'è gente sta bene e dunque non si rende conto della situazione"

MENDRISIO – Lasciare l’Italia, distruggendo ad uno ad uno i preconcetti che aveva, per potersi permettere di arrivare con comodità alla fine del mese. Questa è la storia di una giovane mamma di due figli, che al momento del matrimonio con un ragazzo italiano non volle trasferirsi oltre confine e convinse lui a spostarsi, ma che ora è pronta a fare la scelta inversa. “Lo faccio per il futuro dei miei figli”, ci dice, dopo aver appena messo a letto il più piccolo.

Da dove nasce la vostra decisione?
“Nasce dalla situazione economica, altrimenti non me ne sarei andata dal Ticino. Arrivare alla fine del mese è sempre una lotta. Mio figlio ha quattro anni, adesso non vedo altra soluzione.

È stata una scelta difficile?
“È un anno che ogni tanto ci chiediamo che cosa succederebbe se ce ne andassimo, negli ultimi sei mesi il discorso è diventato più pressante, ora abbiamo deciso e spero di trovare casa per andarmene il prima possibile. Il tutto è cominciato quando hanno iniziato a tagliare gli assegni. Non siamo stati toccati, però ho fatto una petizione assieme a un’altra persone, e mi sono detta che un giorno sarebbe potuto toccare ai miei figli. Invece che un andare avanti vedo un andare indietro. Quest’anno abbiamo avuto altri tagli, e nonostante mio marito abbia un buono stipendio devo chiedere degli aiuti per arrivare a fine mese mentre in Italia con il suo salario vivremmo molto bene. Continuare a rifletterci, informarsi, abbattere i preconcetti verso l’Italia mi hanno fatto decidere. Mi dicono che sono coraggiosa, ma non credo…”

Non si ritiene coraggiosa, dunque?
“Bisogna fare un click. Uno de grandi dubbi era, appunto la sanità, dove mi dicono che in Italia aspetti sei mesi per una radiografia. Se c’è un’urgenza ti viene fatta, nel caso vado da un privato. Pago, d’accordo, ma parliamo di 100 o 200 euro, mentre qui pago 300 franchi di cassa malati al mese, e senza il sussidio sarebbero 1'200. Insomma, ci guadagno addirittura! A Pavia c’è un centro universitario ottimo, ci vuole un’ora e mezza per arrivarci. Se qui i miei figli dovessero avere un problema serio verrebbero curati in Svizzera Interna, e io non parlo tedesco… Fondamentalmente, cosa mi cambia? Solo il paese dove vivo!”

La sua famiglia, che vive in Ticino, l’appoggia?
“Mio padre all’inizio mi chiedeva se fossi sicura, poi quando gli ho spiegato la situazione. Desideriamo comprare casa, se non ci riusciamo andremo in affitto, e ora è lui il primo a spingermi ad affittare qualcosa, se non trovo casa. Mia madre sarebbe la prima a volersi trasferire in Italia”.

La vostra idea è di trasferirvi per sempre o di tornare tra qualche anno?
“Non lo so, la vita cambia talmente in modo veloce… In teoria, ci andiamo per stare là. Uno dei nostri sogni a occhi aperti è quello di vivere in Spagna, quando saremo più vecchi. L’intenzione appunto è di comprar casa: qui non ho nessun risparmio, là posso comunque comprare una casa. Se poi voglio tornare indietro, la vendo e avrei un bel gruzzoletto. Penso ai miei figli che avrebbero un tetto sopra la testa. Se un domani i frontalieri non potessero entrare in Svizzera, loro non avrebbero problemi, avendo la doppia nazionalità”.

Lei ci ha detto che ha provato a fare qualcosa per il Ticino, manifestando anche contro i tagli. Cosa prova ora verso il Cantone che sta per lasciare?
“Provo tristezza, onestamente. Trovo triste che le persone non riescano a mettersi nei panni degli altri, che il Governo non guardi in faccia alle famiglie pensando solo ai propri comodi. Sì, il sentimento che provo è tristezza, anche un po’ di delusione. Mi sono accorta raccogliendo firme per nostra petizione o per il referendum contro i tagli che ci sono persone che non si rendono conto della situazione, perché stanno bene e dunque non capiscono cosa succede. Penso anche ai preconcetti contro l’assistenza, dove chi ci entra a prescindere non ha voglia di fare nulla. La gente a volte è ignorante e non vuole vedere”.

Dunque, lei si sente sconfitta e va via abbandonando la lotta per un Ticino migliore?
“No, perché anche se vivo in Italia sono pronta a partecipare, per esempio, a una manifestazione contro altri tagli o a favore di un’idea che mi piace. Io sono nata e cresciuta qui, questo è il mio paese”.

È stupita del fatto che altre famiglie hanno la vostra stessa idea? E pensa che cambia qualcosa, se in molti si trasferissero?
“No, non sono stupita, e non credo comunque che cambi qualcosa. Al Governo le famiglie non interessano, pensano solo a chi sta bene economicamente. È brutto da dire ma la Svizzera è un paese basato sul capitalismo. Se 100 famiglie se ne vanno perché non arrivano a fine mese per loro non cambia nulla. Noi abbiamo provato, per esempio Gobbi ha parlato con la persona che ha fatto la petizione con me, sembrava avesse capito poi è stata bocciata. Quando si è votato per i referendum e per la Riforma III, si è parlato solo di quest’ultima, del rischio che le aziende se ne vadano. Onestamente, delle famiglie gliene frega ben poco!”

Paola Bernasconi
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