CRONACA
"Il Rovaja, una regione da prendere a esempio. E ora Erdogan..." Dal Ticino per i curdi
Jennifer Martinel vuole fondare un'associazione che serva a far pressione sui governi per concedere alcuni diritti al popolo curdo. "L'Iraq non rinnova loro il passaporto, per esempio. Cerchiamo di fare qualcosa"

MENDRISIO – Da un modello sociale, soprattutto per quanto concerne la parità fra uomo e donna, a una regione martoriata dalle bombe di Erdogan. Quando Jennifer Martinel, ex candidata per Più Donne, ci parla della regione del Rojava, lo fa col tono di chi non vede l’ora di lottare per una popolazione che ammira. È stata per un mese in Iraq e ha imparato ad apprezzare una “minoranza senza diritti, questo mi ha toccato”. Ha sposato un curdo, vuole lottare per i loro diritti tramite un’associazione che andrà a costituire. 

“I curdi sono divisi in quattro regioni, Siria, Turchia, Iran e Iraq, dato che non si sono mai visti riconoscere un loro stato curdo 100 anni fa”, ci racconta. “Sono un’etnia che da 100 anni non ha né diritti, né patria e neppure la possibilità di parlare la sua lingua, in particolare chi vive in Turchia e in Iran, oltre all’Iraq. Desideriamo far conoscere la cultura curda, creando sinergie con altre associazioni svizzere e italiane e fare in modo che quando ci sono situazioni come quella attuale si possano aiutare i curdi. Penso in particolare alle donne, ma a tutta la popolazione in generale. Vorremmo che venga loro riconosciuto uno statuto. Il popolo armeno si è visto riconoscere il genocidio, perché per loro non vale? Spesso quando a un curdo, penso a chi vive in Iraq, scade il passaporto, esso non viene rinnovato. Si trova così ad essere un sans papier, solo perché si tratta di una persona curda, per pura rappresaglia. Non è qualcosa di tollerabile, chiediamo che abbiamo le pratiche corrette e lo stretto necessario. Il rinnovo di un passaporto è un diritto, per loro non lo è”.

Martinel desidera che i governi mondiali si muovano. Ma è realmente possibile influire, con un’associazione ticinese, su questioni mondiali? Per lei, sì. “Dobbiamo agire tutti insieme, a partire dalle associazioni che abbiamo in Ticino, i curdi ticinesi, i gruppi sparsi tra la Svizzera Interna e l’Italia, per esempio. Se si riesce a tessere una rete, si può arrivare a obiettivi importanti: lo dimostra il fatto che finalmente è stato riconosciuto il genocidio armeno. Non è facile, non avverrà né tra un mese né tra un giorno, però dobbiamo lavorarci e vale la pena provarci”. Sta già creando delle sinergie, e vorrebbe esporre la problematica al Governo svizzero e all’ONU. “Il nostro Paese è andata nell’ex Jugoslavia a ricostruire, può dare una mano anche qui. Alla politica direi che dovremmo privilegiare l’aspetto umano, anche se in ogni caso la realtà è sotto gli occhi di tutti. Dovremmo cercare di aiutare i curdi”.

È preoccupata per quanto sta accadendo. “Ci sono prove che dicono che sono state usate delle armi decisamente dannose. Che si faccia finta di niente è un’altra cosa, ma io credo che la questione vada valutata. Ho trovato molte persone sensibili al tema, sia curde che no. Sappiamo cosa sta accadendo in Turchia, con Erdogan. Non possiamo certo aspettarci che i curdi in Turchia siano trattati meglio: gli arresti sono alle stelle, e sono numeri che esistono. Le foto dei bambini son lì da vedere, parlano chiaro, i rapporti delle ONG sul posto ci sono”, spiega.

A cuore le sta particolarmente il Rovaja. “Nonostante le difficoltà di una zona dove le risorse non sono a portata di mano come in Svizzera, c’era un modello costruito dalle donne e dagli uomini, dalle milizie curde, in cui c’erano leggi, tutela per le donne, che erano parte integrante dell’organo governativo. Questo va un po’ contro quello che accade solitamente in Medio Oriente. Sono state donne e uomini a costruire scuole e intelligence, per esempio: tutti insieme. Poi è arrivato Erdogan a bombardare… Ma la vita nel Rovaja andava contro chi diceva che le donne non possono avere ruoli di responsabilità, per esempio, il modello è stato costruito dal basso, da una comunità, che ha incluso tutti, senza mai chiedere niente a nessuno pur essendo una minoranza”.

Jennifer Martinel come associazione, che sarà costituita a breve, necessita persone che abbiano voglia di mettersi a disposizione e fondi, che andranno in beneficenza a delle ONG attive sul territorio. È convinta che partendo dal basso si potrà fare qualcosa, ed è decisa a provarci.

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