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22.02.2021 - 13:460
Aggiornamento: 14:02

Le aziende di famiglia alzano la voce: "Governo, fatti sentire. Servono riaperture"

L'Associazione imprese familiari Ticino invita il Consiglio di Stato a "aumentare la pressione nei confronti di Berna alfine di prevedere aperture celeri"

TICINO – Le aziende di famiglia preoccupate scrivono al Consiglio di Stato. I timidi allenamenti decisi dal Consiglio federale preoccupano l’Associazione imprese familiari Ticino (AIF Ticino). In un suo scritto l’associazione invita il "Consiglio di Stato ad aumentare ulteriormente la pressione nei confronti del Consiglio federale alfine di prevedere aperture celeri e disporre al più presto un piano vincolante per le aperture e i vaccini".

AIF Ticino è "molto preoccupata per l’attuale situazione economica legata alla pandemia di coronavirus. Le decisioni insufficienti di allentamento annunciate dal Consiglio federale il 17 febbraio 2021 hanno alimentato ulteriormente i timori tra i suoi associati, quasi 100 imprese radicate sul territorio e condotte almeno in seconda generazione. Questi riguardano la sopravvivenza di realtà che da numerosi anni e con successo sono attive sul territorio cantonale e con fierezza lo rappresentano spesso oltre i confini cantonali e nazionali".

"La preoccupazione – si legge nella missiva – riguarda le conseguenze dirette, ma sempre di più le conseguenze indirette di
cui molte imprese ormai trasversalmente in qualsiasi settore (commercio, servizi, ma anche l’industria) soffrono. La chiusura ad oltranza del settore gastronomico e di riflesso del settore turistico, come anche il protrarsi delle limitazioni nel settore degli eventi, dei trasporti e più in generale le grandi limitazioni nella mobilità nazionale e internazionale in vigore da diversi mesi, stanno mettendo in ginocchio anche imprese solide; gli effetti indiretti della pandemia (inefficienze produttive, maggiori costi, irregolarità della domanda, impossibilità di pianificare, ritardi nelle forniture, ritardi nei pagamenti, assenteismo per quarantene, solo per citarne alcuni...) le stanno mettendo in grave difficoltà, anche per il fatto che rimangono escluse dagli aiuti per i casi di rigore".

E ancora: "Spesso queste aziende non sono direttamente toccate dalle chiusure, ma sono indirettamente colpite dall’inattività di uno o dell’altro settore. Esse non raggiungono il 40% di calo di fatturato, ma le grosse inefficienze legate alle restrizioni per la pandemia e i sovraccosti complicano bilancio e conto economico. Il malcontento, la difficoltà e l’incomprensione nei confronti della gestione della seconda ondata da parte del Consiglio federale stanno crescendo. La totale assenza di tempistiche per quanto  riguarda le riaperture e i piani di vaccinazione sta impossibilitando la pianificazione per delle realtà oggi fortemente dipendenti da più certezze possibili. Se è vero che la pandemia non era prevedibile, un piano di vaccinazione, così come delle regole chiare e un approccio proattivo per permettere di convivere con il virus con la dovuta attenzione sicuramente lo sono".

L’appello degli imprenditori a capo delle aziende familiari ticinesi ha voluto invitare il governo cantonale a "rafforzare ulteriormente la pressione sugli attori federali affinché la grave crisi sanitaria non porti la crisi economica a dei livelli così ampi da comportare una perdita di una parte del substrato economico del nostro cantone che mancherebbe definitivamente al momento della ripresa. I numeri non giustificano più la chiusura completa di determinati settori. Diverse imprese hanno dimostrato negli ultimi 12 mesi che con concetti di protezione validi e un approccio mirato, è possibile evitare e limitare fortemente i contagi senza bloccare tutto, e proteggere così la salute dei propri collaboratori, ma anche il loro posto di lavoro. È tempo di impiegare questo concetto attento, controllato, ma proattivo, a tutti i settori economici e a tutti gli aspetti della vita quotidiana, per il bene di tutta la società".

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