CRONACA
Tri-Star, il direttore: "Non abbiamo violato la legge ma siamo stati mal consigliati"
Paolo Conti spiega come mai in sede della azienda, che presto delocalizzerà in Messico, erano presenti dei lavoratori messicani: "L'avvocato ci ha detto che per una formazione di 4-5 anni non servivano permessi di lavoro"

BIOGGIO - Un errore commesso in buona fede, in un periodo comunque difficile. La Tri-Star di Bioggio entro fine anno chiuderà la filiale ticinese per delocalizzare la sua produzione in Messico e ieri ha ricevuto la visita di Polizia e Ispettorato del Lavoro (leggi qui). Ma il direttore si difende, dicendo che non c'era nessuna intenzione di violare la legge.

Il motivo del controllo? La presenza di una ventina di lavoratori messicani, venuti per "imparare il mestiere" anche in vista del futuro. Si è proceduto a interrogare 18 di loro oltre al direttore della azienda, come hanno spiegato Polizia e Ministero Pubblico (leggi qui).

Paolo Conti, direttore, è rammaricato. Al Corriere del Ticino spiega che ha deciso di non abbandonare la Tri-Star, cercando di "accompagnare" la sua azienda e i collaboratori verso la chiusura tra pochi mesi. La casa madre,  Carlisle Interconnect Technologies con sede negli Stati Uniti, ha infatti già deciso che per questioni di costi trasferirà la produzione in Messico. Per questo motivo ha voluto far venire dal Paese sudamericano delle persone a cominciare a studiare il mondo delle componenti elettroniche destinate all'industria aeronautica e medicale prodotte a Bioggio.

Ma non avevano, a quanto pare, i permessi. Conti si giustifica: "I messicani sono venuti in Ticino per motivi di formazione, non per lavorare. Anche perché attualmente non ne sono ovviamente in grado. Ma capisco che la legge non ammette ignoranza e probabilmente non fa distinzione tra formazione delle persone e lavoro. Ed è questo in cui siamo incappati. Non sono entrati di nascosto. L'avvocato ci ha detto che per una formazione di 4-5 settimane non era necessario un permesso di lavoro. E, senza girarci intorno, la mia colpa potrebbe essere stata quella di aver preso per buona la parola dell’avvocato. Mi sono fidato troppo di una indicazione che mi è stata data".

Paga, dunque, a suo dire, un cattivo consiglio. E non vuole sottrarsi alle sue responsabilità, è pronto a pagare ma non vuole che si dica che la multinazionale ha voluto violare la legge. "Ci siamo fidati di un’informazione errata. Non ho fatto entrare e sfruttato stranieri non pagati o sottopagati". 

In sede erano presenti anche un manager americano e alcuni manager messicani, che non sono stati interrogati. 

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