CRONACA
“Amo la polizia, ma vado al lavoro con un peso nel petto"
L’appello di Alessandro Polo, presidente OCST dei funzionari di polizia: “Vogliamo solo poter lavorare bene, con dignità e risorse adeguate”. E ai colleghi: “Smettete di lamentavi nei corridoi. Mettiamoci la faccia”
TiPress / Samuel Golay

Pubblichiamo integralmente la relazione di Alessandro Polo, presidente del Sindacato OCST Funzionari di Polizia, all’assemblea 2025.

“Stimati ospiti,

Cari associati e associate,

quando ho accettato questo incarico, mi era stato detto che fare il presidente del sindacato non avrebbe preso poi così tanto tempo. “Ci sono le riunioni di comitato, qualche incontro con la Direzione… niente che ti porti via troppo tempo libero.” Nel 2024 ci eravamo trovati davanti ai preventivi, ai tagli di personale, al rischio di chiusura della Scuola di Polizia, al problema della cassa pensioni… e mi era stato detto: “È stato un anno pesante. Vedrai che il 2025 sarà più tranquillo.”

Beh… ve lo dico subito: non è stato così.

Sono contento di aver messo per iscritto queste riflessioni lo scorso weekend, perché le ho scritte con uno spirito diverso: più positivo, con la sensazione che quel 10 novembre 2025 abbiamo finalmente fatto un passo avanti, insieme, nella direzione giusta.

Parto dalla fine: l’incontro con la Direzione.

Dopo la pubblicazione del nostro sondaggio ci eravamo fatti molte idee su come sarebbe andata la riunione. E posso dirvi che è stata una sorpresa. Non lo nascondo: dopo la risposta della politica, che ha minimizzato l’importanza del sondaggio e, di fatto, ha messo in dubbio la capacità di giudizio non solo di chi lo ha promosso, ma anche di tutte le persone che lo hanno compilato, sostenendo che “in polizia va tutto bene”, ci aspettavamo un atteggiamento simile anche dalla Direzione.

E invece no. E per questo li ringrazio.

È stato pubblicato un comunicato congiunto, cosa che credo non accadesse da molto tempo. È stata approvata la creazione di quel tavolo tecnico chiesto dai sindacati dove dirigenti e personale siederanno insieme, per affrontare direttamente – e spero sinceramente – i problemi reali, le disfunzioni pratiche che potrebbero essere corrette anche con piccoli accorgimenti, migliorando enormemente sia la nostra vita lavorativa sia quella personale.

Il primo macroargomento problematico che è stato riconosciuto da tutti nella Polizia Cantonale è quello della conciliabilità casa/lavoro: il telelavoro, il tempo parziale, il borsello dei turni, il job crafting e i problemi portati dalla base. Wow.

Il telelavoro. È chiaro per tutti che un gendarme in stradale difficilmente potrà farlo; lo capiamo anche noi. Ci sono settori in polizia più o meno adatti al lavoro da casa ma, ad esempio, nel settore dove sono impiegato io, alcune attività si potrebbero svolgere ugualmente bene anche da casa, o forse addirittura meglio, con meno distrazioni rispetto all’ufficio.

Il tempo parziale. Alla riunione è stato detto che vi è la possibilità di farlo e anche di introdurlo maggiormente. Quanto è bello sapere che se decido di creare una famiglia, il datore di lavoro mi permetterà: uno, di tornare a fare il lavoro che tanto mi piace e, due, di potermi dedicare alla famiglia senza dover consegnare quasi a tempo pieno mio figlio o mia figlia a persone che se ne prenderanno cura al posto della mamma o del papà?

Il borsello dei turni e il job crafting. È stato detto - e quindi riconosciuto - che “il personale ha delle esigenze di cui bisogna tenere conto”. È proprio così. Hanno anche detto che i temi portati dalla base sono importanti. È importante ascoltare la voce di chi sta alla base. Non ho la bacchetta magica, ma questi argomenti – legati alla conciliabilità tra lavoro e famiglia – sono davvero un’ottima base da cui partire.

Passiamo alla seconda tematica, al secondo macroproblema che è stato riconosciuto: il mancato senso di riconoscimento. Anche qui ci sono stati elencati i temi dai quali partire, insieme.

La leadership. La capacità di guidare persone e gruppi verso un obiettivo comune. Non è solo comandare: è anche la capacità di ispirare e motivare. Una leadership in grado di comunicare e ascoltare in maniera chiara e trasparente, di fornire supporto e fiducia, equa, permette di creare un ambiente in cui le persone possono dare il meglio di sé e di conseguenza lavoreremmo molto meglio, no?

Approfondimento delle richieste e ciclo delle richieste. Dicono che se un collaboratore – se qualcuno di noi – fa una domanda al suo superiore, questo si aspetta una risposta. E questa risposta deve arrivare. E poi c’è il rinnovamento della Polizia Cantonale che, giustamente, è di competenza della Direzione e che al momento non è condiviso. C’è però la questione del progetto Polizia ticinese e quello della polizia unica. Ci hanno spiegato che questi due temi sono unicamente di competenza della politica e che la Direzione sta aspettando di capire in che direzione la politica vuole andare.

Ecco, questo è forse l’unico punto sul quale non sono completamente d’accordo. È assolutamente vero che il tema è politico, ma una direzione alla politica, la nostra Direzione dovrebbe darla.

Conciliabilità lavoro/famiglia e senso di riconoscimento. Pensate ai risultati del sondaggio e a quello che ho appena detto: è un buon passo avanti per costruire la Polizia del futuro, non credete? Non risolveremo certamente tutti i problemi prima della fine dell’anno, ma almeno, questa volta, l’obiettivo nostro e quello del datore di lavoro puntano nella stessa direzione!

A loro, per il tramite del maggiore Ferrari qui presente, dico grazie per averci ascoltati, e vi chiedo di iniziare al più presto a lavorare assieme su questi due obiettivi ambiziosi.

Lo so, quest’anno i sindacati hanno rotto le scatole più del solito, è vero. Ma davvero era questo l’unico percorso possibile? Scopo dei sindacati è quello di dare voce ai lavoratori e per finire ci è voluto un sondaggio per riuscire davvero a farci ascoltare.

Lo ammetto, mi ha rattristato pensare che tutto questo possa avere riflessi negativi sull’immagine della nostra Istituzione. Però lo ha detto anche il comandante: sono anni – anni – che noi sindacati portiamo sempre gli stessi problemi ai tavoli con la Direzione. È ora di affrontarli. Il nostro obiettivo è lo stesso del datore di lavoro.

Vorrei spendere due parole su di me.

Sono un agente di Polizia, non un sindacalista. Lavoro nella sezione che si occupa di reati contro l’integrità delle persone - credo ad una percentuale maggiore del 100% - e non sono un professionista del settore sindacale. Al lavoro non ho tempo di dedicarmi al sindacato, non riesco nemmeno a fare tutto quello che dovrei: lo faccio la sera, nel mio tempo libero, quando la mia testa sembra bollire dalla giornata appena finita. Sono un sindacalista di milizia che, molte volte, fatica a trovare il tempo materiale di occuparsi di tutto.

Io lavoro per la Polizia Cantonale.

Amo profondamente il mio lavoro e nutro grande rispetto per l’istituzione che rappresento, di cui sono fiero ogni giorno. Ho a cuore la Polizia Cantonale esattamente come tutti voi, esattamente come ce l’hanno a cuore i miei – i nostri – dirigenti. Ma vado a dormire con il mal di pancia, mi giro e rigiro nel letto con i pensieri, vado al lavoro ogni giorno con un peso nel petto che non riesco a togliermi e sulla mia schiena sento uno zaino sempre più pesante, che faccio sempre più fatica a portare. Anni fa non avrei mai immaginato che sarebbe stato necessario un sondaggio per farci ascoltare, e pur sapendo che ci sarebbe stata un’eco mediatica, non pensavo che avrebbe assunto l’intensità e le modalità che poi ha avuto.

Vogliamo esattamente quello che vogliono tutti: poter lavorare bene.

Sono il presidente di un sindacato. Ho delle responsabilità verso gli associati. Ho delle responsabilità nei vostri confronti e anche verso tutti quei colleghi che – anche se non appartengono ad alcun sindacato – mi parlano di come vivono il lavoro quotidianamente. Cerco di essere all’altezza di questo ruolo, pur non essendo il mio lavoro. Faccio parte dei presidenti dei sindacati che lavorano per dare voce alla base. Lo dico apertamente qui: non ho legami stretti con la politica, non ho contatti diretti con deputati (se non con uno che però sta a Berna), non ho contatti diretti con i giornalisti e non amo apparire.

Sono una persona trasparente, certo non perfetta. Qualche errore l’ho certamente commesso, qualche questione l’avrò forse trattata con troppa immediatezza. Ma una cosa è certa: sono leale. Leale verso di voi e leale verso il mio datore di lavoro. Spero, mi auguro, che questo messaggio oggi sia passato.

E proprio perché di legami politici non ne ho molti, voglio cogliere questo momento per rivolgermi a loro.

Dateci la possibilità per lavorare bene, con qualità e dignità.

Non vogliamo la SPA in ufficio. Non vogliamo dei super computer. Non chiediamo auto di lusso. Vi chiediamo solo di permetterci di fare il nostro lavoro con professionalità: è il nostro diritto, è il bene dell’istituzione. Non chiediamo dieci settimane di vacanze o stipendi da manager. Vogliamo lavorare, e lavorare bene. Con i continui tagli, soprattutto quelli al personale, non siamo più in grado di farlo.

Faccio un esempio. Se in un ufficio a caso abbiamo da anni un carico di lavoro che richiederebbe 20 persone a tempo pieno e il nostro organigramma prevede solo 10 unità… non possiamo farlo funzionare in 7. È semplice matematica, non funziona, è impossibile!

Portiamo comunque avanti questo lavoro, perché è un servizio fondamentale per la società, ma lo facciamo con limiti evidenti… e a che prezzo: con risorse ridotte, carichi insostenibili e un impatto inevitabile sulla qualità e sull’efficacia del nostro operato, a discapito di chi ha bisogno del nostro intervento.

Stiamo vivendo quasi tutti sintomi del burnout e dobbiamo dire di no a chi si aspetta un nostro intervento, perché le risorse ci costringono a dare priorità agli interventi più urgenti. Non possiamo purtroppo rispondere subito a tutte le richieste, anche quando il bisogno è reale. A pagarne il prezzo sono i dipendenti e il cittadino! Ripeto: vogliamo solo poter lavorare bene. Quando le unità sono necessarie, vanno date. Se non sono necessarie, si possono togliere e spostare. Ma dove servono… servono davvero.

E una riflessione va fatta anche sulle condizioni di lavoro: ho detto che non ci aspettiamo privilegi esagerati: chiediamo condizioni dignitose, che riconoscano il valore e l’importanza del nostro ruolo e rendano la professione di agente di polizia veramente attrattiva per chi vuole servire la comunità.

- Quattro settimane di vacanze: è il minimo legale, ben al di sotto della media in ambito lavorativo.

- 1.70 all’ora per garantire il picchetto di Polizia: è ridicolo per un agente che deve essere costantemente reperibile e pronto a intervenire, con la responsabilità e stress che ne conseguono.

Un neo gendarme viene iscritto nella 4° classe, inizia con uno stipendio lordo di circa 4900 franchi al mese. Al netto degli oneri sociali arriva a guadagnare circa 3900 franchi netti al mese. Non certo uno stipendio d’oro, specialmente in Svizzera. È vero, lo stipendio aumenta un po’ ogni anno, ma con la nuova legge stipendi… ci vogliono 24 anni! Un neo gendarme 20enne non può aspettare un salario dignitoso a 40 anni.

Considerando la responsabilità, il rischio, lo stress e il carico emotivo della professione, per attrarre persone qualificate, motivate e preparate chiamate a fornire un servizio essenziale per la società, il salario deve essere competitivo.

Questo è compito della politica, e chiedo alla politica di chinarsi – seppure in un periodo di ristrettezze - sulle risorse: sul vostro personale! Su di noi. Le persone sono la vera risorsa strategica dell’istituzione e risparmiare sul personale oggi, può aumentare i costi sociali domani oltre a permettere di evitare spese maggiori per la formazione continua di nuovi agenti o sostituzioni frequenti.

Mi avvio davvero alla conclusione. Credo che oggi sia chiaro a tutti che il sindacato serve, eccome se serve. Da anni non vedevo un’attività sindacale così intensa, così viva, così determinata. E questo è possibile perché non siamo soli.

Ringrazio Ivan, presidente della Federazione, e la VPOD: mai come ora, pur essendo tre sindacati diversi, stiamo camminando insieme. E questo, credetemi, non è scontato. Ringrazio il mio comitato, per il tempo, la pazienza, la fatica e anche per le rinunce che fanno. E ringrazio voi, tutti voi, per essere qui oggi.

L’anno scorso vi dissi che siamo troppo pochi a partecipare alle attività sindacali. E anche quest’anno ve lo ripeto, con ancora più cuore: abbiamo bisogno di voi. Il sondaggio ha avuto 345 risposte: un’enormità. Ma alla presentazione eravamo poco più di 30.

E lo sapete anche voi: quando siamo in pochi, quando ci presentiamo in quattro gatti, è difficilissimo portare avanti rivendicazioni serie. Non possiamo pretendere di essere ascoltati se non siamo i primi a farci vedere uniti.

Ve lo dico come collega, prima ancora che come presidente: smettete di lamentarvi nei corridoi. Partecipate. Mettiamoci la faccia insieme. Perché se non ci muoviamo tutti, nulla cambierà davvero.

E voglio lasciarvi con questo pensiero.

Ogni mattina, quando indossiamo la nostra uniforme (anche metaforicamente perchè la divisa è qualche anno che non la metto), portiamo con noi una responsabilità enorme. Portiamo la fiducia dei cittadini, la sicurezza delle persone, la dignità del nostro lavoro.

E io sono orgoglioso – profondamente orgoglioso – di far parte di questa famiglia che si chiama Polizia cantonale.

Io ci credo. Credo in noi, nella nostra forza, nella nostra serietà, nel nostro senso del dovere. Credo che meritavamo di essere ascoltati… e oggi, finalmente, lo siamo.

Abbiamo iniziato a camminare. Insieme.

E allora vi dico grazie. Grazie per ciò che fate ogni giorno, anche quando nessuno lo vede. Grazie per l’impegno, per la fatica, per la pazienza e per la passione che mettete in questo mestiere difficile e meraviglioso.

Buone festività a voi e alle vostre famiglie. Che possiate trovare il tempo per respirare, per stare con le persone che amate e per ricaricare quel cuore che ogni giorno, sul lavoro, diamo un po’ via agli altri. 

Grazie di cuore”.

 

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