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13.01.2016 - 11:180
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

«Il Ticino, una sorta di Catalogna della Svizzera». La Lega ringrazia

Il politologo Oscar Mazzoleni analizza le rivendicazioni regionaliste. «Senza crisi economica e marginalizzazione, il successo della Lega sarebbe stato più debole e effimero»

BELLINZONA - Il Ticino, oggi come anni fa, porta le sue rivendicazioni a Berna, cerca di porre all'attenzione dell'intera Svizzera le sue particolarità. Ma i tempi sono cambiati, lo sono anche i modi e i contenuti? Che influenza ha tutto ciò sulla politica cantonale? Su La Regione, il politologo Oscar Mazzoleni ha esaminato la questione. «Diversamente dalle rivendicazioni di circa novant’anni orsono, oggi non si parla più di difesa etnica, ma come allora in causa ci sono questioni economiche, culturali, linguistiche. La differenza fondamentale è che all’epoca sono state da subito condivise dall’insieme dei partiti di governo, che le hanno portate a Berna, mentre negli anni '90 e 2000 sono state anche e soprattutto temi di contesa, di divisione, all’interno del Cantone, contribuendo anche ad una profonda trasformazione del sistema dei partiti», spiega. Differente è anche la Berna federale, una volta con ampi margini di manovra, ora vincolata strettamente a trattati internazionali. La rivendicazione attuale non è opera di un solo partito, ed è frutto da una parte «delle attese suscitate dal federalismo solidale che ha innervato le politiche pubbliche elvetiche fino ad almeno gli anni '80» (per esempio, lo sciopero alle Officine di Bellinzona), dall'altra si hanno «rivendicazioni regionaliste che sono nate in un’epoca di indebolimento delle frontiere nazionali», come quelle legate ai padroncini o ai frontalieri. Per Mazzoleni, «il regionalismo è diventato una sorta di meta-tema: quasi ogni questione politica (mercato del lavoro, trasporti, sicurezza, pianificazione territorio, scuola ecc.) è interpretata nell’ottica della difesa del Cantone e dei suoi abitanti». Sul piano squisitamente politico, la Lega appare il partito che più di altri ha saputo far sue queste rivendicazioni, capendo il sentimento di marginalizzazione del Ticino. «Si spiegherebbe così la sua ascesa. Ma perché i partiti storici non hanno saputo adeguarsi su questi temi pur avendo, nel frattempo, aggiornato la loro agenda?», si domanda Mazzoleni, che poi riflette: «le difficoltà dei partiti storici vengono da lontano, dalla crisi delle ideologie (e degli immaginari a loro connessi), dal loro identificarsi in un certo ruolo dello Stato che oggi non è più d’attualità; inoltre, i partiti storici, rispetto alla Lega, hanno fatto più fatica a darsi strumenti capaci di parlare con una società della comunicazione profondamente trasformata dall’espansione dei media d’opinione e più di recente dai social media». Gli si domanda dunque se la Lega avrebbe avuto lo stesso successo elettorale senza la crisi economica e il sentimento di marginalizzazione. Mazzoleni ritiene che sarebbe potuta nascere comunque, grazie agli sforzi del suo fondatore Giuliano Bignasca e a persone capaci di impegnarsi a lungo termine, ma che «senza la crisi economica, sociale, culturale, alimentata dai processi di globalizzazione e di crisi dell’integrazione nazionale, il successo elettorale della Lega sarebbe stato probabilmente più debole ed effimero». Infine, considera il Ticino una particolarità a livello svizzero. Nessun cantone, infatti, conosce rivendicazioni regionaliste come accade nel nostro. «Da nessun’altra parte, il regionalismo ha trasformato come in Ticino gli equilibri fra i partiti, dando spazio ad un partito prettamente regionalista che ha assunto la maggioranza relativa in governo. Oggi il Ticino rappresenta una sorta di Catalogna della Svizzera, con alcune differenze fondamentali: non è una regione più ricca che chiede la separazione ma una regione periferica che chiede più integrazione federale».
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