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23.09.2016 - 16:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Notifiche agli URC, Delcò Petralli le chiese nel 2011. «Se bocciano anche la seconda iniziativa, raccoglierò le firme»

L'iniziativa fu approvata dal Parlamento ma bloccata dal Governo. Nell'ottobre del 2015 ne ha inviata un'altra. E sul Parlamento che non rispetta il volere del popolo dice che...

BELLINZONA - Lei fu la prima a chiederlo, e le fu risposto picche. Michela Delcò Petralli, anticipando i membri della Commissione delle istituzioni politiche del Nazionale, inoltrò un'iniziativa parlamentare elaborata con lo scopo di obbligare le aziende a segnalare i posti vacanti agli URC. Un'iniziativa che raccolse 49 voti favorevoli, venendo dunque accolta, ma che il Consiglio di Stato bloccò, ritenendola sin dal rapporto per la discussione in Parlamento, firmato da Borradori, troppo complicata da applicare (si sarebbero dovute cambiare anche delle norme federali e non solo cantonali), oltre che in contrasto con la libertà economica, sproporzionata, di efficacia dubbia e probabilmente troppo cara. Anche la Commissione della gestione e delle finanze, con relatore Nicola Pini, la boccio' (proponendo al Consiglio di Stato di contattare le singole ditte per convincerle con le buone a notificare i posti vacanti)Ed ora, la misura fa parte di quelle per applicare il 9 febbraio (anche se nella sua proposta la notifica obbligatoria sarebbe in vigore sempre, mentre nel caso federale solo se viene superata una soglia di immigrazione)...«Quando la Commissione della gestione esaminò la mia proposta avevano in mano il parer del giurista del Gran Consiglio che diceva che già la Confederazione spingeva per applicare la norma, già in vigore in alcuni Cantoni. Ma non l'hanno considerata... Hanno detto che non era possibile, anche perché io avevo chiesto delle sanzioni ai danni di chi non avrebbe rispettato le regole, ovvero di escludere queste ditte dai concorsi pubblici. E la proposta a livello federale sarà accompagnata da sanzioni, altrimenti rimane come le grida manzoniane. Ora la Commissione della gestione ha in mano un mio secondo atto parlamentare sul tema, del 12 ottobre 2015, che chiede la stessa cosa. Io sono testarda! E qui, per fare in modo che passi più facilmente, non ho inserito le sanzioni. Inoltre, sul tavolo c'è un altro atto fatto da me per applicare la preferenza indigena al parastato. Grazie ai Verdi è stata inserita nella legge sull'AET, ora desidero vada estesa al parastato e agli enti sussidiati».In ogni caso, se entrerà in vigore l'applicazione del 9 febbraio, la sua richiesta sarà implementata comunque...«Certo. Però abbiamo perso tantissimo tempo per mettere in atto una misura che è efficace. E si crea malumore fra la popolazione dato che la situazione del mercato del lavoro è disastrosa, permettendo che prendano piede iniziative come "Prima i nostri" che non potrà essere applicabile e non risolverà il problema».E se arrivasse un'altra bocciatura?«Siamo pronti a raccogliere le firme, lanceremmo probabilmente un'iniziativa popolare».Alla luce di queste iniziative, si può dire che non gridate ma agite?«Sì. La sconfitta sulla notifica, sottoscritta da tutti i partiti, me l'ero legata al dito». Indipendentemente dall'obbligo di notifica, le piace la preferenza indigena light?«Io ho votato contro il 9 febbraio, in particolare perché erano previsti contingenti anche per i ricongiungimenti familiari. Ma quando il popolo vota qualcosa, questo qualcosa va applicato. Basti pensare anche all'Iniziativa delle Alpi, hanno già deciso che non va mantenuto il limite dei camion. La gente vota una cosa e loro ne decidono un'altra, si capisce perché c'è un aumento dell'assenteismo».La democrazia è solo apparente o è un'affermazione troppo forte?Secondo me ci sono due elementi che caratterizzano quest'epoca. Siamo in una post-democrazia, cioè i diritti ci sono ma i tempi sono sempre più complicati e in molto non votano perché non hanno tempo di approfondire i temi o non li capiscono. Poi quando il cittadino vota una cosa e il Parlamento ne decide un'altra aumenta lo scoramento».
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