“Penso che si parli della tempistica. Si potrebbe vederla all’opposto: visto che ci sono delle entrate positive, perché non fare di più per la socialità? Le due cose sono comunque disgiunte. E io direi che se abbiamo dei numeri positivi è perché le manovre precedenti sono state di riduzione delle uscite ma anche di aumento di valore degli immobili, per esempio. Si sta andando nella direzione giusta. La riforma è una tappa in una modifica fiscale e sociale per rimettere in carreggiata il Cantone. Siamo in una situazione con pochissima disoccupazione, se ci sono tanti frontalieri vuol dire che i posti di lavoro sono maggiori della popolazione. Quello su cui dobbiamo lavorare come Cantone è il fare in modo che il tipo di lavoro, e quello delle paghe, siano più elevati possibili. Vogliamo essere una zona di alti prezzi e di alti salari, ma dobbiamo arrivare a sostenere certi stipendi. Non è semplice, lo si fa attraverso la formazione. Nel bene o nel male siamo estremamente legati a quel che succede attorno al mondo, con cui abbiamo scambi commerciali attivi, e dobbiamo confrontarci con essi. Per competere e vendere all’estero bisogna avere gli stessi prezzi, se i salari sono troppo alti non ce la facciamo, come Ticino dobbiamo far sì di avere ditte che offrono prodotti e servizi ad alto valore aggiunto. Se il valore aggiunto è basso vanno abbassati i salari, non è quello che vogliamo. Anche nella riforma c’era la componente di società innovativa, con sgravi importanti per chi investe in queste società per attrarle, dar loro una buona formazione. Questa è una prima tappa per rigirare la tipologia di aziende per far sì che possano offrire posti di lavoro elevati. Non vedo un’altra soluzione per il Ticino”.