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Il pallone ai tempi del Covid. "Con quel protocollo tanto vale portare i libri in tribunale"
Tamponi per tutti, test sierologici e centri sportivi sanificati, Bignotti non ci sta: "Non siamo la Juventus". E Campana: "Un modello che rischia di non essere sostenibile"

LUGANO/CHIASSO – Nicola Bignotti l’ha detto senza peli sulla lingua: noi non ce la facciamo. Il Lugano lo ha fatto intendere. Sta facendo discutere il protocollo studiato dalla Swiss Football League per eventualmente far riprendere i campionati di calcio svizzero. 

Si parla di tamponi a tappeto sugli atleti e test sierologici, di allenamenti dapprima in piccoli gruppi e di centri sportivi sanificati, dove stare praticamente in isolamento. Costi esorbitanti per compagini che hanno comunque dovuto far fronte a mesi di lavoro ridotto e senza entrate. Il documento di 33 pagine è stato elaborato in collaborazione con l’Università di Berna e ha mandato su tutte le furie Nicola Bignotti. “Se facciamo fare il calcio ai professori dell'università, allora vadano avanti loro ed è giusto così”, ha tuonato.

Mettendo in evidenza le illogicità, ovvero il fatto che in una videoconferenza a ogni domanda dei club è stato risposto “non lo so” e poco dopo è arrivato il documento, tra l’altro nemmeno tradotto in italiano per mancanza di fondi (!).

“Per una società come la nostra, ma secondo me anche per tante società, questo è assolutamente inapplicabile perché a questo punto tanto vale dire ai club di portare i libri in tribunale e chiudere”, ha detto chiaro e tondo. “A parte 4-5 società in Svizzera, per gli altri è impensabile fare calcio così. È tutto insostenibile; non si sa come si potranno gestire i giocatori il prossimo 1 luglio visto che molte squadre hanno giocatori in scadenza di contratto e prestiti. È insostenibile un protocollo che prevede oneri finanziari e organizzativi impraticabili. È insostenibile pensare che le squadre possano uscire in questo momento dal Lavoro Ridotto senza avere ricavi da botteghino o altre attività. Chi può sostenere una cosa così? Forse il Losanna con una proprietà potentissima, forse il GCZ con i cinesi che fanno di tutto per giocare”.

Più chiaro di così… “Di sicuro, se queste sono le condizioni, noi non riusciremo mai a ripartire, questo è certo. Pensare di avere un centro sportivo dedicato, con tamponi ed esami sierologici, tutti controllati.. siamo a Chiasso, di cosa parliamo. Da noi è impossibile. Non so se lo potranno fare il Kriens o squadre come Wil e Winterthur”, ha terminato, intervenendo a Fuorigioco.

E il Lugano, altra squadra professionistica ticinese? Con toni più pacati, Michele Campana non si allontana dal concetto. “Siamo di fronte a un modello teorico che temo rischi di non essere sostenibile per la realtà del calcio svizzero. È vero, è compito della Lega agire in modo proattivo e - come in altri settori - sondare tutte le piste possibili per ritornare in campo. Detto questo, e al di là delle competenze della SFL, serve innanzitutto godere di un consenso trasversale. Che sia dunque della politica come pure delle società. E sull’appoggio compatto di queste ultime nutro onestamente alcuni dubbi”.

Poi, a porte chiuse o porte aperte? E se qualcuno, sia un calciatore o un collaboratore, si dovesse ammalare, su chi ricadrebbero le responsabilità?

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