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29.04.2016 - 15:150
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Il SISA critico. «Si crea una scuola a due velocità. Dipartimento, coinvolgici!»

Zeno Casella: «con le UAA, la mentalità diventa aziendale. I docenti rischiano di essere in competizione, altro che collaborazione». E chiede una nuova impostazione anche per il post-obbligatorio

BELLINZONA - Il Sindacato Indipendente degli Studenti e degli Apprendisti è critico verso "La scuola che verrà": alcuni aspetti piacciono, altri meno, e ci sono diversi nodi che preoccupano. Ce li spiega il coordinatore Zeno Casella.Dopo la presentazione della manovra da 180 milioni eravate scontenti per i tagli, ora con questa riforma si investono 32 milioni annui nella scuola: soddisfatti?«Gli investimenti con "La scuola che verrà" sono parte di un progetto di un certo tipo. Andare ad investire in un modello di scuola che non condividiamo non può lasciarci soddisfatti».Che cosa vi piace e che cosa no?«Già in partenza nel progetto iniziale c'erano alcuni aspetti che condividevamo e condividiamo ancora, come l'abolizione dei livelli A e B e la promozione di una pedagogia differenziata che tenga conto delle particolarità degli studenti senza penalizzare gli allievi più deboli, e anche il fatto di promuovere un accesso più liberalizzato al settore post obbligatorio. D'altro canto, ci sono elementi su cui siamo critici, primo fra tutti la proposta di trasformare le singole scuole media in Unità Amministrative Autonome. Questo ci preoccupa con una visione della scuola pubblica che diventa aziendalistica. Il problema diviene poi di equità sociale e territoriale, portare una concorrenza fra i singoli istituti può creare una scuola a due velocità, qualcosa che non vogliamo. Le UAA sono enti e organi che possono agire come enti parapubblici e in modo autonomo rispetto al Dipartimento, si dovrà mettere l'accento su competenze che sinora non rientravano nei compiti delle sedi scolastiche, come la gestione finanziaria e del personale, la ricerca di sponsorizzazioni private e esterne per far quadrare i bilanci. Si aprono le porte alle associazioni private e alle imprese nei budget della scuola pubblica, con gravi ripercussioni sull'indipendenza dell'insegnamento, con concorrenza. Ci sarebbero scuole di Serie A, con insegnamenti di buona qualità e studenti preparati, e delle scuole discarica da cui rischiano di uscire studenti che non hanno grandi opportunità né di formazione né sociale».E il ruolo che si ritaglia per i docenti vi convince?«Sulla carta sì, sembra interessante. Ma bisogna porsi in modo critico e chiedersi se con un modello di scuola gestito in questo modo aziendalistico in cui la direzione diventa un vero e proprio consiglio di amministrazione che recluta il personale, decide magari in parte remunerazioni e bonus come è successo in Italia con la "Buona scuola" non si rischi di creare un ambiente completamente diverso da quello del progetto. Si parla di collaborazioni, co-teaching e condivisione, ma si rischia di avere qualcosa di molto diverso dall'auspicio, con una concorrenza fra i vari docenti che devono dimostrare alla direzione di lavorare meglio dei colleghi per tenere il posto e anche guadagnare di più. E la collaborazione va a finire un po' nel cestino, come si vede nei modelli proposti dell'establishment liberista promosso in Europa».Siete a favore della differenziazione pedagogica, è applicabile?«È una questione piuttosto difficile, richiede un docente che possa seguire maggiormente gli studenti, magari così si possono eliminare anche le discriminazioni che oggi esistono a livello sociale fra gli studenti, pensiamo ai livelli A e B, in cui, secondo i dati, chi viene da una famiglia più agiata ha risultati migliori. Ovviamente bisogna vedere cosa salterà fuori come finanziamento e ruolo dei docenti docenti: se essi non potranno seguire gli studenti come si deve, il risultato potrebbe essere anche peggiore di quello attuale». Rendere accessibili a tutti certe scuole post-obbligatorie non creerà situazioni in cui i ragazzi si iscrivono a scuole per cui non hanno competenze?«Di fatto potrebbe essere un elemento di critica, ma dal nostro punto di vista oggi come oggi il problema è che il liceo è già una scuola troppo elitaria e selettiva. Dalle linee direttive presentate dal Governo assieme alla manovra di rientro si vede un'accentuazione e un rafforzamento del settore professionale, del tirocinio e dell'apprendistato. Vogliamo che i ragazzi vadano a lavorare a 16 anni e non vedano quasi più una scuola? Il liceo permette l'accesso a un certo tipo di sapere e una certa formazione, vogliamo davvero che queste conoscenze siano precluse a buona parte della popolazione e che solo un terzo dei cittadini del domani possa averle, o preferiamo anche qui una scelta più inclusiva e democratica? Pare che il Dipartimento non voglia andare in questa direzione, ma speriamo di poter lavorare con loro. Auspichiamo infatti di essere coinvolti in questo processo, anche se per ora non pare essere così».
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