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26.05.2020 - 16:450

Caverzasio: "Consumiamo in Ticino, assumiamo residenti, ripensiamo al tema frontalieri. Il dopo Covid deve essere così"

Oggi ha assunto la presidenza del Gran Consiglio: "Il mio auspicio è che si abbandonino certi toni polemici, arroganti e aggressivi, basta favoritismi, posizioni funzionali alle logiche di parito, attacchi strumentali"

BELLINZONA – Il deputato leghista Daniele Caverzasio è da oggi il nuovo presidente del Gran Consiglio. Succede al popolare democratico Claudio Franscella. Nel suo discorso di insediamento, pronunciato di fronte al Parlamento riunito a Lugano, ha toccato alcuni aspetti legati alla crisi sanitaria, sociale ed economica provocata dal Covid-19.

di Daniele Caverzasio*

Sono state settimane difficili. Ci siamo trovati confrontati con una situazione drammatica che non avevamo mai vissuto e che non avremmo mai immaginato di vivere. Un virus misterioso e letale ci ha costretti a cambiare radicalmente il nostro modo di vivere, ha sconvolto le nostre abitudini, ci ha allontanati gli uni dagli altri. Ci ha isolati.

Questo nemico invisibile ha iniziato ad aggirarsi tra di noi senza una logica precisa, e la medicina e la scienza ci sono sembrate impotenti, come nei secoli scorsi, quando all’improvviso il mondo veniva funestato da altre terribili epidemie. Così, giorno dopo giorno, abbiamo visto aumentare i numeri dei contagi, dei ricoveri… e dei morti. Persone che conoscevamo, amici, famigliari… Gli annunci funebri sui giornali erano pieni di nomi e di volti di donne e di uomini che se ne sono andati senza poter nemmeno contare su una parola o su uno sguardo di conforto dei propri cari. Sono come svaniti nel nulla, nella più totale solitudine. È stato davvero terribile.

Un pensiero non è molto, e non basta certamente a lenire il dolore di chi in queste settimane ha perso parenti ed amici.

Ma al di là della retorica che troppo spesso accompagna i momenti di lutto, rivolgere un pensiero alle vittime di questa epidemia può essere un rito che rinsalda il nostro senso di unità, e di comunità. Vorrei dunque che queste mie parole, pronunciate in una sede istituzionale, avessero il significato di una sorta di preghiera laica. Una preghiera per ricordare e per ringraziare.

Per ringraziare tutti coloro – medici, infermieri, personale ospedaliero -, che con coraggio e abnegazione hanno dato anima e cuore per salvare la vita di tante persone, e per curare fino alla fine chi non ce l’ha fatta. E per ringraziare anche tutti le ticinesi e i ticinesi che, con sacrificio e responsabilità, hanno ascoltato e seguito le raccomandazioni sanitarie durante il “lockdown”.
Dovremo, tutti insieme, continuare a farlo, evitando di cadere nell’errore di pensare che il virus se ne sia andato.

Perchè nei prossimi mesi la possibilità di tornare a vivere una vita più vicina alla normalità e non condizionata dall’emergenza, dipenderà dalla somma dei comportamenti di ognuno di noi.

Un doveroso ringraziamento va anche allo Stato Maggiore, coordinato dal comandante Matteo Cocchi, che ha dovuto prendere decisioni spesso impopolari – penso al divieto di fare la spesa per gli over 65, ma anche all’appello ai confederati di non trascorrere le vacanze pasquali nel nostro Cantone -. E un grazie di cuore anche a chi è stato chiamato a far rispettare restrizioni che hanno limitato la nostra libertà personale: gli agenti di polizia.

Ora che il virus ci ha concesso un po’ di tregua dobbiamo cercare di ricostruire la nostra vita di comunità, tornare al nostro lavoro, dobbiamo affrontare con coraggio le sfide che ci attendono, ma anche imparare a vivere la “normalità” in modo diverso rispetto a prima, adottando cautele che evitino una ripresa dell’epidemia.

Perchè una cosa dev’essere chiara: non possiamo permetterci di affrontare le prossime settimane e i prossimi mesi con la logica del “liberi tutti”. Dobbiamo dunque continuare a rispettare le regole di igiene, a rispettare la distanza sociale e - dove non è possibile farlo o nei luoghi chiusi, pubblici o privati, dove entriamo in contatto con molte persone -, usare le mascherine. Usatele, è importante!

Ogni malattia e ogni dramma, personale o collettivo, possono avere due epiloghi diversi: distruggere o rafforzare.

Io credo, come la maggior parte di voi, cari colleghi, cari concittadini, cari amici, che in queste settimane abbiamo dimostrato di essere una comunità animata da un profondo senso di solidarietà. E questa solidarietà non dobbiamo perderla, ma mantenerla e conservarla come un valore prezioso anche per il futuro. Perché è la nostra forza, e ci aiuterà ad affrontare la crisi economica e sociale che ci attende.

Per ricostruire, per riparare le falle che la tempesta del Covid-19 ha creato nella nostra nave, dovremo far capo a tutte le nostre risorse, come individui e come Stato - come Cantone, come Comuni -.

Se lo faremo tutti insieme potremo tornare a navigare verso un futuro forse ancora migliore di quello che immaginavamo prima dell’epidemia, perché questa durissima prova ci ha dato più consapevolezza e più responsabilità. Ci ha fatto capire tante cose, ci ha costretti a pensare, a riflettere…

Impariamo dunque da questa esperienza drammatica per correggere errori e storture, che erano sotto i nostri occhi ma che abbiamo ignorato o sottovalutato.

Uno dei problemi emersi chiaramente in queste settimane riguarda il personale sanitario. Non possiamo più permettere che un settore come quello ospedaliero, che deve essere strategico per ogni Stato, dipenda in misura così importante da lavoratori frontalieri. Se infatti fino ad oggi l’Italia - nonostante la situazione tragica vissuta da alcune province lombarde - ha deciso di non “requisire” il personale sanitario che lavora nei nostri ospedali e nelle nostre cliniche, non è detto che non lo farà in futuro, se ci saranno altre epidemie di questa portata.

È dunque assolutamente necessario e prioritario che la politica affronti il tema della formazione dei giovani per colmare questa grave lacuna. Non è un problema che si risolve dall’oggi al domani, ma urge una strategia chiara, e un primo passo potrebbe essere quello di imporre la condizione di residenza in Ticino agli stranieri che vengono assunti nei nostri ospedali.

Il tema dei frontalieri va affrontato anche in termini generali, perché è evidente che il Ticino non può più sostenere, dal profilo sociale, strutturale e ambientale, una crescita esponenziale e incontrollata di manodopera non residente come quella a cui abbiamo assistito negli ultimi anni.

In questi due mesi di epidemia abbiamo imparato anche un’altra cosa importante: che non abbiamo bisogno di varcare il confine per fare la spesa. Siamo tornati anche a frequentare i negozi di paese o dei centri cittadini, la panetteria, la macelleria, il fruttivendolo, il piccolo market… e non solo i supermercati.

Dovremo continuare a farlo ancora obbligatoriamente per diverso tempo, ma spero che, almeno chi se lo può permettere finanziariamente, lo faccia anche dopo la riapertura delle frontiere con l’Italia.

Un discorso che vale anche per i ristoranti: spenderemo magari qualche franco di più, ma daremo ossigeno a un settore che più di altri farà fatica a risollevarsi. A questo proposito, una nota di merito va al progetto “Vivi il tuo Ticino” varato dal Governo e da BancaStato a sostegno della ristorazione, degli alberghi, e delle strutture turistiche in generale.

Tutte queste attenzioni al consumo locale, che è insieme responsabile e sostenibile, sarebbero un ulteriore segno concreto di solidarietà, un piccolo contributo alla rinascita del Ticino che tutti noi potremo dare con le nostre scelte quotidiane. Come sarebbe un segno concreto di solidarietà, da parte delle aziende, assumere e dare lavoro ai nostri disoccupati, che a causa della crisi sono aumentati e aumenteranno.

Concludo con una nota istituzionale. Il Consiglio di Stato ha saputo gestire l’emergenza e superare le inevitabili tensioni e polemiche che l’hanno accompagnata. Dai cantieri alle scuole, dalle chiusure alle riaperture, fino ai non sempre facili rapporti con il Consiglio federale e con l’Ufficio federale della salute pubblica. Giustamente il Governo ha dovuto avocare a sé dei poteri accresciuti, dichiarando lo Stato di necessità. Ma la democrazia è un meccanismo fragile, fondato su equilibri delicati, che possono essere facilmente compromessi, e che vanno dunque preservati e difesi.

Ora che la tempesta è passata il Gran Consiglio deve dunque ritrovare la propria centralità e tornare a svolgere il proprio ruolo istituzionale, che è fondamentale nel processo democratico. Ma deve farlo, e questo è l’auspicio che rivolgo a tutti voi, cari colleghi, abbandonando certi toni polemici, arroganti e aggressivi che hanno purtroppo caratterizzato gli ultimi anni della vita politica ticinese. Ma anche certi favoritismi, certe posizioni funzionali alle logiche di partito, certi attacchi strumentali…

Non faccio distinzioni tra un’ala e l’altra di questo Parlamento che da oggi sono chiamato a presiedere, e sia chiaro che rivolgo il mio appello anche agli esponenti del mio gruppo parlamentare, e a me stesso.

Se vogliamo ricostruire, se vogliamo ripartire, se vogliamo risalire la ripida china che abbiamo davanti, se vogliamo vincere anche sul piano sociale, economico e politico la battaglia contro il virus, servono unità di intenti, condivisione, rispetto, umiltà, concretezza, e soprattutto un grande senso civico da parte di tutti noi. Consiglieri di Stato compresi, ovviamente.

Mettiamo dunque la nostra intelligenza, le nostre competenze, le nostre idee, le nostre risorse, la nostra volontà, al servizio del Paese. Ma facciamolo davvero e non solo a parole: facciamolo con i fatti, con le nostre decisioni, con le nostre azioni.

Nei prossimi mesi le cittadine e i cittadini ticinesi ci osserveranno attentamente, ci metteranno alla prova, e ci giudicheranno. Dimostriamo loro di essere degni della fiducia che hanno riposto in noi.

*presidente del Gran Consiglio

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