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29.03.2023 - 17:320

Brenno Martignoni racconta Salvador Dalì

"Ebbe sempre narcisistica cura di sè. Vistosi baffi. Ispirati a Diego Velázquez. Tratto inconfondibile e irripetibile dei suoi connotati. Tant’è che l’idea continua a produrre felici sviluppi..."

di Brenno Martignoni Polti

Genialità onirica. Talento poliedrico. Mistico. Eccellenza in più ambiti. Scrittura. Pittura. Scultura. Fotografia. Cinema. Marchese di Pùbol. Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalì i Domènech. In arte. Salvador Dalí. Nato l’11 maggio 1904 a Figueres. Catalogna. Provincia di Girona. Sul confine francese. Il papà, avvocato e notaio. La mamma, figura chiave. Stupiva. Spiazzava. A bomba. Con l’abile piglio di chi è sempre un passo avanti. Molto vicino. A Pepín Bello. A Luis Buñuel. A Federico García Lorca. Con il poeta Lorca, in speciale sintonia. Emersa da una memorabile vacanza a Cadaqués. Con il maestro Buñuel, l’approccio alla settima arte. Nel 1929 il film. “Le chien andalou”. A seguire, nel 1930. “L'âge d'or”. Lavorerà persino con Walt Disney. Nel suo viaggio a Parigi, nel 1926. Prima ancora di visitare il Louvre, volle incontrare Pablo Picasso, che ne aveva già sentito parlare in bene da Joan Mirò. Invero, diverse le opere marcatamente impregnate di Picasso e di Miró.

L’adesione al movimento del surrealismo, per Salvador Dalì, segnò l’affermazione internazionale. Gli fece trovare l’amore della sua vita. Gala. Elena Ivanovna Diakonova, nata a Kazan, in Russia, nel 1894. Di dieci anni più grande. Musa ispiratrice di moltissimi suoi quadri. Si sposano in civile, nel 1934. Il rito religioso, nel 1958. Di ritorno dagli Stati Uniti, dopo otto anni. Durante la Seconda Guerra Mondiale. A New York. Le inedite sperimentazioni. Oltre alla pittura, fotografia, cinema, performance. Nascono gli oggetti surrealisti. Beni cult. Il telefono-aragosta. Il divano a forma delle labbra dell’attrice Mae West. Porteranno notorietà. Produrranno ricchezza. Gettando le basi della Pop Art.

Dalí ebbe sempre narcisistica cura di sè. Vistosi baffi. Ispirati a Diego Velázquez. Tratto inconfondibile e irripetibile dei suoi connotati. Tant’è che l’idea continua a produrre felici sviluppi. Le maschere dei protagonisti della recente serie tivù. “La casa de papel.” Salvador Dalì nutriva di poi passioni culinarie. Nel 1973 pubblicò un libro di cucina. Più di cento ricette, compendiate da aneddoti, disegni e fotografie. Si è inoltre occupato di moda. Di arredamenti. Ha disegnato gioielli. Nel 1965, Amanda Lear. Una storia di sedici anni. Non convenzionale. Ardito sodalizio. Fuori dagli schemi. “Il nostro era un ménage a trois. Salvador Dalì era innamorato spiritualmente di sua moglie Gala, ma amava anche me.”

Nel 1980, il declino artistico. Irreversibili disarticolazioni motorie. Tremori permanenti. Perdita del controllo delle mani. Forse, all’origine, la moglie Gala. Per demenza senile, potrebbe avergli somministrato un pericoloso cocktail di medicinali senza prescrizione. Minandogli per sempre il sistema nervoso. Tuttavia, secondo uno studio, Dalí soffriva di Parkinson già da vent'anni. Ciò, che sarebbe visibile da alcune tele. Altro pesante affondo. Il 10 giugno 1982. La dipartita di Gala. Due eventi che lo catapultano in profonda depressione. Lo portano a lasciare la vita pubblica. A isolarsi. Arrivando perfino a tentare il suicidio più volte, senza mai riuscirci.

Nel 1984, in circostanze non del tutto chiare, scoppiò un incendio nella sua camera da letto. Lo costringerà in sedia a rotelle. Fino al decesso, naturale, il 23 gennaio 1989. Per un attacco di cuore. Il cerchio si chiude. Lì. A Figueres. Sua città natale. Ha 84 anni. Le esequie al suo Teatro-Museo. Ultima definitiva dimora. Dove riposa. “L’enfant terrible” dell’arte del Novecento. “L'unica differenza tra me e un pazzo è che io non sono pazzo.” Salvador Dalì.

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