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09.02.2016 - 17:190
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Giulini, «Bellinzona, una ferita aperta. Potrei magari tornare nel calcio...»

Partendo dal precetto ripubblicato ai danni della Olosport, l'ex presidente ci parla a cuore aperto del fallimento granata e della sua missione nel mondo del pallone

BELLINZONA - Lo Stato a ottobre ha emesso un precetto esecutivo nei confronti della Olosport SA, con sede a Lugano. L'amministratore delegato è Gabriele Giulini, e l'atto è stato ripubblicato, come accade per «persone con domicilio o sede ma irreperibili o che persistono a sottrarsi alla notificazione». Giulini, però, pochi giorni fa, aveva detto di non essersi mai nascosto, di essere a disposizione. In effetti, quando lo chiamiamo per saperne di più, risponde subito, disponibile e cordiale. «Non so nulla di questa notizia uscita sulla stampa oggi, ha tutto in mano il mio avvocato. Se vuole può rivolgersi a lui che sta seguendo la mia parte giuridica, gliel'ho affidata. Chi mi cerca mi trova, come può vedere». Dopo il chiarimento sulla Olosport, il discorso non può che scivolare sul Bellinzona, e Giulini appare un uomo ferito, che ha lasciato un pezzo di cuore in granata e nel calcio. «Provo grande affetto per Bellinzona e i ticinesi, nonostante tutto. Probabilmente per giudicarmi non c'erano abbastanza informazioni, se prima di scrivere la gente verificasse, ci sarebbe meno confusione».Parla di poca informazione: allora diciamo da dove sono partiti i problemi del Bellinzona?«I problemi purtroppo hanno una grande origine e non si possono risolvere con una conversazione telefonica. Ciò non significa che io mi tiri indietro, quanto accaduto è soprattutto responsabilità mia e non l'ho mai messo in dubbio. C'è anche da aggiungere che c'è gente a cui io avevo affidato delle responsabilità che dovrebbero prendersi le loro colpe. Hanno approfittato di me? È un libro molto triste, non apriamolo. Ci sono state tante cose che da fuori non si vedono, sono successe e ha poco senso riportarle alla luce. Ognuno risponderà alla propria coscienza». Nonostante tutto, l'avventura nel calcio le ha lasciato qualcosa di positivo?«Quando sento che un mio calciatore ha preso i libri in mano e sta concludendo gli studi, allora dico di sì. Volevo portare una filosofia nuova e in questo senso aver avuto risultati è molto positivo. Qualcuno ha raccolto il seme e ne sono contento, per il resto peccato non aver potuto portare a termine ciò che volevo, ma nella vita accadono imprevisti e io sono capitato in una serie di essi, tutti insieme. Alcuni potevano essere prevedibili e altri no, la responsabilità è mia, però certe volte nella vita ti capitano delle cose che non ti aspetti e che devi affrontare: io ho fatto quello che potevo sino all'ultimo. E non sempre si riesce, anche se si vorrebbe».Tornando indietro, acquisterebbe ancora il Bellinzona?«Sì, ma con l'esperienza che ho accumulato. Gestire una società non è facile, è un mestiere che si impara e a volte non si ha il tempo di farlo».Si riferisce alla sua idea di calcio dove non è esclusa la cultura, vero?«Io ci credo tanto. Il calcio businnes di adesso non mi piace proprio. La speranza è nei dilettanti. L'economia comanda tutte le nostre vite, è un discorso globale: lasciamo che lo faccia l'economia o vogliamo qualcos'altro che le governi?».Ha dunque voglia di acquistare una squadra dilettantistica per realizzare i progetti non riusciti a Bellinzona?«Sì, molta, e non è esclusa che lo faccia, una volta sistemate le mie pendenze col Bellinzona e personali. Il calcio è una passione che ho nel sangue. Dovrei trovare una società con ambizioni modeste, controllando le spese e stando lontano dai pescecani e procuratori magari si riesce a fare qualcosa di interessante».Segue i granata?«Per me è una ferita che si apre e sanguina. Lo seguo da lontano, ed è una sofferenza. Venire allo stadio? Bella domanda. Penso che ho dato molto e ho creduto molto nel progetto e non sono riuscito a portarlo a termine, quindi andrei incontro al mio fallimento personale. Razionalmente posso ammetterlo, ma dall'altra parte il cuore soffre».
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