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05.08.2023 - 10:320

Sergio Morisoli: "Identità sì, ma quale?"

"Negli ultimi decenni abbiamo impiegato più tempo e risorse per cercare di rinnegare, confondere e truccare la nostra identità, fino a mutarla affinché piacesse ad altri"

*Di Sergio Morisoli

Sembra quasi un piano con pilota automatico, preciso, di tre fasi: cancellare la memoria del passato attraverso l’abbattimento di statue, testi e simboli; distruggere il presente imponendoci la dittatura del politically correct attraverso il dogma della neolingua; progettare a tavolino il futuro in modo selettivo; un futuro "retto da un sistema talmente perfetto che non occorrerà più essere buoni" per parafrasare il premio Nobel della letteratura T.S. Eliot. Ma la domanda da porsi, escludendo quelle sull’odio nei nostri confronti che viene dall’esterno, è: perché l’Occidente sta sviluppando così tanto disamore verso sé stesso? Indubbiamente quello che vediamo accadere in diversi posti, sono reazioni di violenza e di rabbia per paura, incertezza, e smarrimento scatenati da qualche cosa.

Le scorciatoie colpevolizzanti la globalizzazione, l’inquinamento e il razzismo non convincono; sono costruzioni dai piedi di argilla. Non è facile capire quali siano le cause e quali gli effetti del malessere diffuso e del disamore verso sé stessi, lascio ai sociologi e agli psicologi sociali l’arduo compito. Da osservatore mi pare che ci siano dei macro-trend negativi che sono ormai percepiti da tutti, ma che l’Occidente non vuole governare e non può cambiarne a breve-medio termine il corso. Declino economico (subiamo il resto del mondo), crisi demografica (denatalità, invecchiamento, immigrazione), scomparsa della mobilità sociale (implosione del ceto medio). Ci sono però delle tendenze negative che invece, noi occidentali possiamo ancora correggere: l’identità smarrita, la cultura relativista, la democrazia in affanno, lo statalismo inarrestabile e il capitalismo rinnegato. Tra le cinque tendenze correggibili, la più urgente da affrontare perché sarà la più lunga di cui ci dovremo occupare, mi sembra essere quella dell’identità smarrita.

La ripartenza dell’occidente stanco, deluso, vecchio e disarmato dalla speranza nel futuro; potrebbe, anzi dovrebbe, passare dal recupero della nostra identità. Una parolona il cui significato nella migliore delle ipotesi è bistrattato e nella peggiore è impugnato come una clava contro qualcuno. L’identità la si recupera soltanto se la si individua, la si scopre, la si rimette in sesto, la si educa ma a patto che sia ritenuta utile. Diversamente diventa un reperto archeologico messo in bacheca, da mostrare ogni tanto (all’occasione…) oppure una cantilena senza senso da ripetere per riempire lo spazio vuoto prodotto dal pensiero debole.  Una identità si forma tramite radici, tradizioni, usi, costumi, abitudini e valori condivisi; non c’entra nulla con la razza, quella non ce la possiamo dare da noi stessi, non ce la scegliamo; mentre un’identità ce la possiamo costruire, scegliere e perfino rifiutare e rinnegare. Ecco, negli ultimi decenni, in Europa, in Svizzera e anche in Ticino abbiamo impiegato più tempo e risorse per cercare di rinnegare, confondere e truccare la nostra identità, fino a mutarla affinché piacesse ad altri, piuttosto che a pulirla, lustrala, valorizzarla e migliorarla, lanciati come eravamo tutti nell’ideologia utopica dell’egualitarismo integrale.

Egualitarismo, inteso come annullamento di qualsiasi differenza, come condizione, mezzo e fine illusori per garantire pace e benessere. In reazione a ciò, nascono poi le deliranti e criminali fughe in avanti estremiste e xenofobe che trovano terreno fertile quando le identità vere scompaiono, mentre questi movimenti trovano lo spazio e il vantaggio per imporre le loro identità malate. Ma quando scompaiono, si annientano, si disimparano, si dismettono, si trascurano, si svalutano le vere identità dei singoli e con esse di un popolo, si apre a poco a poco lo spazio per l’inserimento e l’invasione, a volte violento, di identità esotiche totalitarie e proiettate verso l’egemonia.

Quindi, i decenni passati ossessivamente a negare le nostre radici, a relativizzare i nostri valori, ad auto colpevolizzarci per le sfortune altrui, a imitare o integrare con risultati fallimentari modelli non nostri, a sviluppare un senso di frustrazione e impotenza stanno producendo ciò che di peggio non ci potrebbe essere per una sana identità di popolo e per il prosieguo di civiltà: stanno producendo il cinismo degli adulti, la distruzione della speranza nei giovani e la paura generale nel futuro. Il risultato è che molti si comportano come se fossero l’ultima generazione, anziché provare a pensare cosa farebbero di diverso se fossero la penultima. Trovando una identità in fase di smantellamento, chi ha altre identità pacifiche ma più spesso forti e bellicose, ha gioco facile ad accelerare il nostro processo autodistruttivo.

Ma il processo di smantellamento identitario non è astratto o solo filosofico, è pratico e concreto a qualsiasi livello lo si voglia osservare. In ciò, i sistemi educativi e le scuole occidentali (Ticino compreso) hanno avuto certamente una bella responsabilità. Hanno sradicato dall’insegnamento le basi per conoscere chi siamo e da dove veniamo: il pensiero occidentale di Atene-Gerusalemme-Roma come origine della nostra libertà; lo sviluppo economico come condizione della nostra prosperità, la formazione del civismo come premessa del nostro benessere. Da un sistema educativo e culturale incentrato sull’assunto «mondialista» che il progresso è possibile se e solo se diventiamo altro da ciò che si era e si è; e da continue decisioni di politica estera sbagliate a riguardo dei processi di causa effetto che incidono sull’identità di un popolo; nascono poi come reazione le deliranti e criminali fughe in avanti «fai da te» a senso unico.

Da una parte quelle nazionalistiche e xenofobe (i bravi siamo sempre noi), e dall’altra quelle miglioriste e multiculturaliste (i bravi sono sempre gli altri); fughe che trovano terreno fertile quando le identità vere scompaiono e lasciano a questi movimenti lo spazio e il vantaggio per imporre le loro identità malate, siano esse esogene o endogene all’Occidente. Non tutto è perso, alcuni punti saldi devono essere ripresi e corretti per riscoprire, progettare e costruire di nuovo la nostra identità orgogliosamente occidentale. Lo si può fare unicamente con una grande dose di umiltà e onestà intellettuale, e isolando i pregiudizi che per decenni ci sono stati inculcati in funzione del progetto di ingegneria sociale egualitaria e fallimentare. Proviamoci, chiedendoci cosa tiene assieme un Popolo prima che uno Stato.

Abbattere le statue, bruciare i testi, truccare la storia non è nuovo, ogni dittatura da sempre pratica questi “riti purificatori”. Col tempo arriveranno anche a rimuovere la croce bianca dallo sfondo rosso, a inventare un jingle esoterico al posto del salmo svizzero, a chiedere la testa di Guglielmo Tell o di San Nicolao della Flüe; nuovo semmai, come intitolava il filosofo francese Pascal Bruckner un capitolo ne «Il singhiozzo dell’uomo bianco» (edizioni Guanda 2008), è che l’Occidente ha
trasformato il comandamento cristiano «ama il prossimo tuo come te stesso» in «odia il prossimo tuo come te stesso» dove il problema è il «te stesso».

*Capogruppo UDC in Gran Consiglio

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