"Si può davvero ritenere “inopportuno” che un gruppo di insegnanti esprima un’opinione, civile e argomentata, su una tragedia umanitaria di proporzioni planetarie?"

di Guido Tognola *
La dura reazione del Municipio di Lugano alla lettera aperta dei docenti della Scuola Media di Viganello – colpevoli di aver espresso solidarietà al popolo palestinese e al contempo ribadito la centralità del rispetto del diritto internazionale – merita più di un commento: merita una riflessione sul senso stesso della scuola pubblica in una democrazia.
Si può davvero ritenere “inopportuno” che un gruppo di insegnanti esprima un’opinione, civile e argomentata, su una tragedia umanitaria di proporzioni planetarie, su quello che moltissimi studiosi israeliani definiscono un genocidio? Un’opinione simile a quella che si ha il dovere di avere di fronte, ad esempio, alle vittime della Shoah. O si preferisce, forse, una scuola neutra(le) come un foglio bianco, utile solo a ripetere e non a pensare?
La Costituzione federale (art. 16 e 20) tutela la libertà d’espressione e la libertà della scienza e dell’insegnamento. La Legge della scuola ticinese afferma che l’istituzione deve “promuovere la formazione integrale della persona e lo sviluppo del senso critico”. Dunque la libertà d’insegnamento non è un favore concesso dall’autorità, ma un principio fondante dello Stato di diritto ed è un dovere dei docenti – non solo un diritto – quello di formare i futuri cittadini.
Eppure, quando questa libertà si esercita davvero – quando gli insegnanti mostrano di avere una coscienza e non solo un registro elettronico – qualcuno si scandalizza. Forse, in un’epoca ossessionata da “competenze misurabili”, il docente ideale è quello che non disturba, non pensa, non rischia, che compila medie aritmetiche e che si esime dal creare una coscienza critica. Un impeccabile certificatore di competenze, non un educatore di futuri cittadini.
Ma una scuola che rinuncia alla dimensione etica e critica della conoscenza tradisce la sua stessa missione.
L’educazione non è indottrinamento: è il contrario. Significa fornire strumenti per comprendere la complessità, distinguere tra fatti e propaganda, ragionare invece di reagire. Chi teme la libertà di parola dei docenti teme, in fondo, la libertà di pensiero degli allievi e – aggiungiamo – dei cittadini.
La neutralità istituzionale non può trasformarsi in museruola intellettuale o in censura. Una scuola che ha paura del pensiero libero smette di essere luogo di formazione e diventa officina di conformismo.
Non serve “addestrare” studenti a non pensare: serve educarli a scegliere, a dubitare, a farsi domande scomode. Ed è proprio questo, forse, che oggi risulta intollerabile: il coraggio di insegnare con la mente e con la coscienza.
Si può vietare ai docenti di avere un pensiero, ma non si può evitare che i giovani – prima o poi – si accorgano di vivere in un Paese che diffida di chi pensa. E allora sì, forse la scuola ideale è proprio quella che qualcuno sogna: ordinata, silenziosa, neutra. Una scuola senza voci, senza domande, senza libertà.
Una scuola senza scuola.
* Costituzione radicale