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28.10.2016 - 19:310
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Oltre un terzo del Parlamento per una politica più intelligente

di Sinue Bernasconi, in rappresentanza del CIRCA

Ebbene sì, non avete preso un abbaglio, ben 34 Granconsiglieri hanno sottoscritto un’interrogazione che chiede di far luce sullo stato del consumo di cannabis in Ticino, con un focus particolare sui gravi problemi di salute pubblica co-generati dal proibizionismo. Ma a sorprendere non è tanto il numero di deputati, quanto la variegata appartenenza partitica. Tutte le forze politiche hanno sottoscritto l’atto parlamentare; una trasversalità storica su un tema, quello della cannabis, in passato troppo spesso analizzato attraverso la sterile lente dell’ideologia e del pregiudizio morale. Oggi, invece, una buona fetta della politica ticinese, capitanata dal giovane deputato Fabio Käppeli (PLR), richiede a gran voce che si analizzi finalmente la “questione cannabis” oggettivamente e scientificamente, nell’interesse dei consumatori e di tutta la società. In effetti, tutti noi trarremmo beneficio da un’ottimizzazione delle misure preventive e di riduzione dei rischi. Oltre a un miglioramento delle politiche di salute pubblica vi sarebbe anche un effetto positivo in termini di riduzione dei costi sanitari, essenziale se vogliamo contrastare l’aumento incontrollato dei premi di cassa malati. Le principali preoccupazioni d’ordine sanitario riguardano i seguenti punti: • Un recente studio dell’Institute of Forensic Medicine, Forensic Chemistry and Toxicology (Università di Berna) ha dimostrato che su 151 campioni di cannabis provenienti dalla Svizzera (una quindicina dei quali dal Ticino) analizzati, ben il 91% erano altamente contaminati da batteri, funghi, pesticidi e metalli pesanti. • Il tenore di THC, il principale agente psicoattivo della cannabis, è aumentato esponenzialmente: se un ventennio fa esso era in media del 6-8%, oggi può raggiungere persino il 35%. • Il consumo di cannabis sintetica (o Spice) sta aumentando tra gli adolescenti e i giovani adulti svizzeri. Queste droghe di nuova generazione sono facilmente acquistabili online, possono causare la morte dopo una sola dose e la loro composizione muta continuamente per sfuggire allo statuto d’illegalità. Il rischio di dover ricorrere all’ambulanza dopo l’assunzione di tale droga è superiore rispetto a qualsiasi altra droga. Il Comitato interpartitico per la regolamentazione della cannabis (CIRCA), auspica che quest’interrogazione sia solo il primo passo di un percorso che condurrà a una gestione più intelligente della cannabis non solo da parte del Consiglio di Stato, ma anche della Confederazione. Perché non dobbiamo dimenticare che senza una modifica della Legge federale sugli stupefacenti e sulle sostanze psicotrope (LStup) del 1951 il margine di manovra concesso a Comuni e Cantoni è davvero esiguo. Se ciò non dovesse arrivare per mano della politica, la prossima mossa sarà quella di lanciare, tramite una coalizione nazionale, un’iniziativa federale richiedente la sostituzione del mercato nero con uno regolamentato, ossia implementando un quadro legislativo che definisca chiaramente chi, e in quali circostanze, può produrre, vendere e consumare la cannabis. Fonte d’ispirazione sarà sicuramente il modello dei Cannabis social club (CSC) che alcune città — Ginevra, Berna, Zurigo, Basilea e Losanna — vogliono testare. Come mai questa smania di antiproibizionismo? La realtà è che le più autorevoli commissioni di esperti — come la Commissione consultiva in materia di dipendenze (CCMA) del Canton Ginevra, la Commissione federale per le questioni relative alla droga (CFQD), il Coordinamento politico sulle dipendenze (NAS-CPA) e la Commissione globale politica sulle droghe (GCDP) — sollecitano da tempo le autorità politiche a implementare un modello di regolamentazione, che gioverebbe a Stato e cittadini (miglior tutela della salute pubblica, più posti di lavoro, maggiori entrate per erario e assicurazioni sociali, minor onere per l’apparato repressivo-giudiziario) e sottrarrebbe al contempo i cospicui proventi illeciti del commercio di cannabis (circa 1 miliardo di franchi annuo nella sola Svizzera) ai baroni della droga. Come detto, alcune realtà svizzere si stanno già orientando verso questa direzione: Berna sperimenterà la vendita di cannabis in farmacia, mentre Ginevra è in prima fila per collaudare il modello dei CSC, facendo da battistrada, nel caso di risultati soddisfacenti, all’estensione di tale modello a tutto il Paese. Né il ministro Berset, né la direzione dell’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), per voce della sua Vicedirettrice Andrea Arz de Falco, paiono disdegnare la realizzazione di questo scenario. L’apertura delle autorità sanitarie federali, sommata al recente cambio di paradigma dell’ONU, che ad aprile di quest’anno ha deciso di abbandonare la guerra alla droga per abbracciare una politica più umanitaria e incentrata sulla salute pubblica, lascia ben sperare per il futuro. Il contesto ticinese attuale, tuttavia, non può che far riflettere chi ha l’opportunità (e il dovere) di chinarsi con serietà e apertura mentale su una questione di salute pubblica di vitale importanza quale il consumo di cannabis nella società ticinese che – piaccia o no – è una realtà che va affrontata. Un’occasione per farlo si presenterà già in questi giorni nell’ambito dell’Académie des dépendances, che si tiene in Ticino (Monte Verità) dal 27 al 29 ottobre. Chissà che da questo convegno, raggruppante i massimi esperti di droghe e dipendenze a livello svizzero, non possa nascere anche una riflessione a proposito delle politiche relative alla cannabis. Per il CIRCA Sinue Bernasconi, GLRT Franco Gabriele Bolckau, GISO Nick Meili, GLRT Fabrizio Sirica, GISO Samuel Iembo, Gioventù comunista Angelo Rampa, ACRT
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