CRONACA
"Il Coronavirus nella prima fase è un'influenza. Si può curare a casa con farmaci a basso costo"
Il professor Manera, anestesista e rianimatore all'ospedale di Bergamo, ha le idee chiare. "L'errore è stato lasciare i pazienti a casa con la febbre e i sintomi per dieci giorni, poi arrivavano da noi in condizioni gravi"

BERGAMO - Il Coronavirus si compone di tre fasi, nelle prime due, in particolare nella prima, è curabilissimo da casa, come una normale influenza. A sostenerlo è, in una lunga intervista rilasciata al canale Contro Tv, il dottor Stefano Manera, anestesista e rianimatore dell’Ospedale Papa Giovanni XVXIII di Bergamo. Sono parole forti, le sue.

“La grande carenza iniziale è stata la medicina del territorio”, spiega. “I pazienti venivano lasciati una settimana, persino dieci giorni, a domicilio, con la febbre e la malattia che andava complicandosi. Quando arrivavano agli ospedali erano gravi e spesso finiscono in terapia intensiva”.

Un lockdown prolungato a suo dire è un harakiri, dato che ora il virus si conosce e che la sesta unità di terapia intensiva, aperta ad hoc, è stata momentaneamente chiusa: stiamo parlando, lo ricordiamo, di Bergamo, una delle zone più colpite. A cosa porta questa conoscenza? “Il Coronavirus non colpisce solo i polmoni bensì tutti gli organi, è una disfunzione che coinvolge anche i vasi sanguigni. Questo permette di applicare terapie sul territorio in modo tempestivo. I pazienti possono guarire a casa, senza arrivare in condizioni disperate in ospedale”.

Sulle cure possibili, il dottor Manera ha le idee chiare. “Il virus può essere diviso in tre fasi. La prima è virale, il paziente è a casa con febbre, malessere generalizzato, mal di testa: una sintomatologia influenzale. Qui dobbiamo essere più efficaci. Se il malato prende solo tachipirina per giorni, arriva la seconda fase, che colpisce i polmoni. Inizia la respirazione difficoltosa, la saturazione si abbassa e l’ipossia diventa franca. Poi giunge la terza fase, quella grave, che necessita al 100% di una terapia intensiva. Dobbiamo e possiamo intervenire sulla prima e sulla seconda fase, curandole a casa. Per la prima fase abbiamo i farmaci antivirali, la idroclorochina, penso al Plachenil, farmaco che costa pochissimo ma che ha buonissimi risultati, abbiamo l’eparina a basso peso molecolare, che ha un ruolo protettivo nell’evoluzione della disfunzione responsabile di complicazioni”. Un mese e mezzo fa non si sapeva tutto questo, per cui le persone finivano in ospedale nella fase tre, ma ora è tutto diverso.

A suo dire, un calcolo approssimativo fa affermare che facendo delle proiezioni, circa il 15% degli italiani sono già stati contagiati. Dunque, i contagiati sarebbero stati circa 9 milioni, portando il tasso di mortalità allo 0,22%. Inoltre, ritiene che chi arriva in ospedale aveva uno stato infiammatorio pregresso: era in sovrappeso, iperteso, con una tendenza al diabete mellito. Per questo, il medico sostiene che ci voglia la prevenzione, non quella che porta a una diagnosi precoce, bensì che fa sì che i pazienti non si ammalino, usando i cosiddetti “rimedi della nonna”. 

Sul vaccino è scettico, dato che il virus di per sé muta in modo molto veloce. D’altro canto, solitamente servono un paio d’anni di sperimentazione, saltando le fasi in laboratorio e di prove sugli animali e passando direttamente a quelle sull’uomo.

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