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19.04.2019 - 09:000

"Sono poche le persone che vivono di artigianato. La sfida? Provare a aumentarle e offrire qualità"

Si sta cercando di rilanciare il marchio "Artigianato del Ticino", tramite la raccolta di pareri per riscrivere le norme. "C'è ancora gente disposta a pagare un buon prezzo per qualità, storie e emozioni"

BELLINZONA - L’Associazione Artigiani Bleniesi, Dongio e l’Associazione Artigiani di Vallemaggia, Cevio, con il sostegno dell’Agenzia regionale per lo sviluppo del Luganese (ARSL) chiedono a tutte le artigiane e gli artigiani di partecipare attivamente al rilancio del marchio «Artigianato del Ticino» per i prodotti dell’artigianato tradizionale e artistico. Quale primo passo hanno chiesto a tutti gli interessati, per il tramite delle rispettive associazioni di esprimere, entro il prossimo 15 maggio, le loro opinioni e proposte sulla visione e ad alcune tesi che saranno la base per le future Direttive per la concessione del marchio e per la sua gestione.

Cosa si intende fare, esattamente? Ce lo ha spiegato Matteo Oleggini.

Cos’è questo marchio di cui parlate?

“Vuole essere una prova di qualità del prodotto e che esso sia stato realizzato in un certo modo e che sia riconducibile alla tradizione ticinese. In alcuni casi è evidente e facile, in altri, dove la tradizione è interpretata, meno, penso alla ceramica, per esempio. Il marchio vuole essere una garanzia di qualità e del modo di produrre”.

Perché volete nuove norme?

“Il marchio è stato depositato nel 1987, la sua gestione (ovvero a quali condizioni poteva essere rilasciato e che cosa è) è retta da una convenzione del 1991 fondata su una base legale che ora non c’è più. Fino al 2017 il marchio era gestito con un contratto di prestazione del Cantone dalla allora Ar-Ti, con modalità che la segreteria della COMCO ha dichiarato non essere più attuabili secondo le leggi svizzere. La COMCO nel maggio del 2017 ha scritto alla Ar-Ti e al Cantone dicendo che si dovrebbero trovare delle modalità di gestione secondo cui l’artigiano che adempie ai requisiti possa usare il marchio, per le sue strategie di marketing e vendita, senza ulteriori vincoli. Si tratta dunque di scrivere delle direttive che rispettino sia le leggi del 1991 sia le situazioni che si sono venute a creare, tenendo conto di quanto legiferano le associazioni che hanno marchi regionali”.

Come sta l’artigianato ticinese?

“Dobbiamo capire di cosa parliamo. Se intendiamo quello tradizionale e artistico, ovvero quello che andrebbe sotto questo marchio, posso dire che sono attive tra le 180 e le 250 persone. La stragrande maggioranza di essi lo fa per hobby nel tempo libero, una piccola parte lo fa a tempo parziale e conta comunque di ricavarvi qualcosa, pochi sono coloro che vivono di prodotti artigianali e di corsi, penso a un artista che fa ancora corsi per insegnare a tornire, creando altra gente che nel tempo libero faccia artigianato. L’obiettivo del marchio è tornare a dare visibilità ai prodotti di qualità e a medio lungo termine creare le premesse affinchè più persone vivano di artigianato e che quelle che lo fanno a tempo parziale abbiano la spinta e le premesse per farlo in maggior qualità di tempo”.

In un mondo globalizzato, dove si acquista online e anche dall’altra parte del mondo, può funzionare un marchio locale, anche identitario?
“Questa è se vuole la sfida. Ci sono fasce di clienti che se il marchio diventa sinonimo di qualità che racconta una storia e vende emozioni sono disposti a comprare al giusto prezzo. Bisognerà mettersi sulle piattaforme online, se guarda nel marchio TicinoTurismo vengono offerte esperienze con gli artigiani. Anche l’artigianato tradizionale e artistico ha un futuro di questo genere, più nessuno, o pochi, comprerà il servizio di piatti fatto dal ceramista, però ci sono e val la pena provare a offrire loro un prodotto di qualità. Prima dobbiamo ritrovare la fiducia degli artigiani verso le loro associazioni, una certa unità d’intenti fra queste associazioni e gli artigiani, insieme poi ragionare su come valorizzare il tutto. Non è facile, la consultazione nasce per quello. L’alternativa era scrivere le direttive e dire che queste erano e queste si applicano, ma non c’erano le premesse per farlo. La sfida è coinvolgere più persone possibile per ritrovare voglia di lavorare insieme”.

Parlava di prodotti che raccontano una storia e trasmettono emozioni: quali?

“Bisogna vedere il tipo di prodotto. Ho visto alcuni prodotti in legno che raccontano la storia del bosco: un pezzo di legno poteva essere destinato a essere bruciato invece viene trasformato in oggetto d’uso o di decorazione, sono valori che l’artigianato in Ticino, così come in Valle d’Aosta, in Trentino e in altre zone dell’arco alpino, riesce a trasmettere e a far acquistare. E non abbiamo nulla di meno rispetto a zone dove questo tipo di artigianato si è sviluppato in modo maggiore e permette a più persone di vivervi”.

Adesso quali saranno le vostre tempistiche?

“Attendiamo le risposte entro fine maggio, per riuscire a elaborarle. Tra metà giugno e fine agosto, anche metà settembre, con la collaborazione di Alpina Vera, vogliamo elaborare una bozza di direttive, da ridiscutere con chi avrà partecipato al questionario ed è interessato. In seguito andrà messa in piedi un’organizzazione indipendente e trasparente rispetto a chi utilizzerà il marchio, che darà l’autorizzazione a usarlo e farà dei controlli sull’applicazione delle direttive, e andrà fatta un’azione di promozione del marchio, assieme a Alpine Vera, il marchio Ticino, il nuovo centro agroalimentare e la rete di negozi Ticino a Te. Se tutto va bene vorremmo applicare le norme dal primo gennaio 2020, ripartendo con una storia che ha trent’anni e che ne ha avuti un paio con una patina che va tolta”.

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