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Cantonali 2023
23.01.2023 - 14:250

Giuseppe Cotti: “L’autonomia comunale non è un residuo del passato”

“Per combattere la tendenza alla centralizzazione della Svizzera, chiaramente in atto, i Comuni devono farsi sentire con forza in Parlamento, per avere il giusto spazio nelle scelte cruciali sul futuro del Ticino”

di Giuseppe Cotti *

I nostri Comuni, oggi, sono ancora entità istituzionali veramente autonome? Me lo chiedo da quasi dieci anni – da quando, nel 2012, sono stato eletto municipale della Città di Locarno. Giorno dopo giorno, questa domanda per me si è trasformata in un vero e proprio rompicapo, e quasi un assillo.

Il benessere del nostro Paese è costruito sulla distribuzione delle responsabilità, e nella condivisione del potere. A noi svizzeri sembra assurda anche solo l’idea che Berna possa imporre all’ultimo villaggio della valle di Blenio il modo di rifornirsi di acqua potabile. In molti altri Paesi, anche vicini a noi, questa è la realtà.

L’autonomia del Comune è lo spirito stesso del federalismo, e per questo è ancorata alle Costituzioni della Confederazione e del Cantone. La realtà, però, è che oggi non si contano più i tentativi di centralizzazione portati avanti da Confederazione e Cantoni. Con la scusa di “armonizzare”, vediamo avanzare proposte standardizzate in settori come educazione, socialità, trasporto pubblico – per citarne solo alcuni.

Gli indicatori finanziari confermano questa tendenza alla riduzione della libertà dei Comuni. Oggi ormai 2/3 delle spese di un Comune sono vincolate, da scelte e strategie decise altrove. Il potere d’azione che rimane in mani locali è sempre più ridotto. Un altro indicatore chiaro sono i flussi finanziari fra Comuni e Cantone, sempre più sbilanciati a favore di quest’ultimo, con il Gran Consiglio che ha la sua parte di responsabilità. Nel 2016, per esempio, ha eliminato la partecipazione dei Comuni ai proventi dell’imposta sugli utili immobiliari: una torta da oltre 100 milioni di franchi nel solo 2021, che oggi è riservata alle sole casse del Cantone, nonostante questa imposta riguardi misure decise a livello locale e serva anche a coprire i costi pianificatori assunti dai Comuni.

La tendenza, insomma, è chiara. La centralizzazione non riguarda più solo gli ambiti in cui i Comuni non erano più in grado di fare il loro dovere. Si estende a compiti e risorse che appartengono chiaramente alle comunità locali, come la sicurezza pubblica, con le spinte verso una polizia unica per tutto il Cantone – una visione che mina alla base uno dei pilastri sui quali si regge il Comune, la prossimità nella tutela dell’ordine pubblico.

La centralizzazione è un processo innaturale per la Svizzera, e per essere imposta deve poggiare su un numero crescente di leggi e regolamenti, sempre più dettagliati, sempre più opprimenti, con una densità normativa che si sta facendo asfissiante. Il mondo è sicuramente diventato un luogo più complesso, e il nostro Paese deve adattarsi per rispettare i propri impegni internazionali. Questa però non deve diventare una facile scusa per trasformare la Svizzera in ciò che la Svizzera non è, ovvero un paese centralista.

L’unica via d‘uscita da questo stallo consiste nel riscoprire le virtù del nostro Paese decentralizzato. I Comuni sono l’istituzione più vicina ai cittadini, e funzionano molto bene – l’abbiamo visto tutti durante il periodo della pandemia. La difesa della loro autonomia non è quindi una battaglia teorica, ma l’unica attitudine possibile per permettere al modello svizzero di prosperare anche in futuro. La loro voce deve tornare a farsi sentire con vigore nell’aula del Parlamento, non per rivendicare ma per avere il giusto spazio nelle scelte di fondo sul futuro del Ticino.

 
* Vicesindaco di Locarno, candidato al Gran Consiglio per il Centro/PPD

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