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Cronaca
04.12.2018 - 11:440

"Mi spinse via come un cagnolino". E Bertoli chiede scusa, "potrebbe ancora accadere e in parte sta succedendo"

Il Ministro colpito dal racconto di Liliana Segre, che col padre fu respinta dalle autorità svizzere ad Arzo. "Anche se non ho l'autorità, le chiedo scusa a titolo personale e come esponente del Governo cantonale"

LUGANO – 88 anni, senatrice a vita, e un passato che non si può dimenticare né tanto meno cancellare. Ieri era a Lugano per raccontarlo, in quella che da molti giovani è stata definita una testimonianza che vale più di mille lezioni di storia. L’olocausto, come tanti eventi, sui libri magari appaiono distanti, nozioni da imparare. Ma se invece quegli eventi tragici vengono narrati da chi li ha vissuti, ecco che assumono tutta un’altra dimensione.
Aveva 13 anni, nel 1943, Liliana Segre, era nascosta da amici di famiglia a Castellanza, perché gli ebrei, in quegli anni bui, venivano deportati. Pregava il padre di andare con lei in Svizzera, tramite dei contrabbandieri italiani partirono quindi per il viaggio della speranza, assieme a due persone anziane: “Era il 7 dicembre del ’43, ad Arzo felici avremmo salutato tutti per la strada, la gente ci ignorava. Era mattina presto. Le donne erano andate a prendere il latte. Nessuno ci guardava. Ci scansavano e questo ci fece un certo effetto. Poi, entrati nell’ufficio, ci fecero aspettare ore ed ore senza minimamente chiederci se volevamo un bicchier d’acqua o una cosa qualsiasi. E dopo tutte quelle ore fummo ricevuti dal responsabile, uno svizzero tedesco che dal primo minuto ci trattò malissimo”, ha raccontato.

E poi tutto precipitò con l'incontro con l'ufficiale. “Non ci fu niente da fare. Ricordo che mi buttai per terra, gli abbracciai le gambe supplicandolo di tenerci. E lui mi allontanava come se fossi un cagnolino. Verso le quattro, quattro e mezza del pomeriggio, mentre cominciava ad imbrunire, ci fece riaccompagnare da due soldati col fucile puntato, più o meno nel punto dove eravamo passati la mattina”.

Lei sopravvisse ad Auschwitz, il padre no. quel respingimento ad Arzo ha cambiato la sua vita, ma lei non porta rancore alla Svizzera, solo a quell’ufficiale, di cui non ha mai voluto sapere il nome.

Manuele Bertoli, toccato, ha voluto chiederle scusa. Anche se non tocca a lui. “È stata vittima di leggi sbagliate, quelle italiane, ma anche quelle del nostro paese. Qui, ha chiesto asilo ma la Svizzera non lo ha concesso. Lo ha fatto in altri casi, ma non nel suo. Anche se non ne ho l'autorità, il compito spetterebbe alle autorità nazionali, le chiedo scuso sia a titolo personale che come esponente del Governo cantonale, sperando che errori del genere non si ripetano”. 

Ancora commosso, ha postato: “ho avuto il privilegio di ascoltare, assieme agli allievi delle scuole medie superiori ticinesi, la storia di Liliana Segre, una delle poche superstiti dell'abominio nazista. Una testimonianza straziante e preziosa, raccontata con una lucidità e una forza esemplari. Sono felice che centinaia di ragazze e ragazzi abbiano potuto vivere in prima persona questo intenso momento di condivisione in cui la storia torna a vivere, non solo quella “grande”, ma anche un pezzo della nostra storia ticinese, perché certe cose non si possono dimenticare. Allora l’odio ha calpestato la dignità umana. Ciò è successo non tanti anni fa e non altrove, potrebbe ancora accadere e in parte sta già accadendo”.

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