CRONACA
"Non è un mostro". Il giovane della strage mancata voleva diventare funzionario federale, poi il buio si è impossessato di lui
Lunga arringa dell'avvocato difensore del ragazzo: “Non basta organizzare un crimine perché questo diventi punibile. E non sono sufficienti degli scritti. In concreto non abbiamo avuto un inizio di esecuzione”

LUGANO – L’avvocato difensore del ragazzo che voleva fare una strage alla Commercio ha parlato per oltre due ore, difendendolo, chiedendo una notevole riduzione rispetto alla pena chiesta dal Procuratore di sette anni e mezzo. A suo dire, è indispensabile per la salute del giovane continuare il trattamento presso il foyer in Svizzera Interna. “Non è un mostro”, ripete.

Sostiene che la strage non era realmente pianificata, che i fogli in mano al ragazzo fossero un semplice disegno, non la planimetria della scuola. “Si preparava soprattutto al proprio suicidio, che era il finale del suo tormento immaginifico. È stato fermato perché ha fatto di tutto affinché ciò accadesse. Adesso ha bisogno di un progetto futuro serio, credibile, realizzabile”.

Le armi? Donate da un parente e usate al poligono di tiro.

Secondo il difensore, non è vero che era una bomba a orologeria di cui nessuno si era conto dal 2016. La crisi è giunta due anni dopo quanto sostenuto ieri in aula, nel 2018: da metà aprile se ne sono resi conto tutti coloro che gli stavano attorno. Il giovane si rifugia nella scrittura, “in lui emergono la disperazione e l’incertezza tra uccidere per smettere di soffrire o fare un massacro per soddisfare la sua personalità narcisistica”. Anche nel filmato da brividi mostrato ieri, per l’avvocato c’è un qualcosa di commovente, una sorta di richiesta d’aiuto, quando si dice che aveva raggiunto l’apice del male.

Traccia il quadro di una persona sofferente, sin troppo intelligente, con i buoni voti che nascondevano il suo malessere. Sognava di diventare funzionario federale. Poi qualcosa si è impossessato dei suoi pensieri e della sua vita, sino alla preparazione della strage. “Non basta organizzare un crimine perché questo diventi punibile. E non sono sufficienti degli scritti. In concreto non abbiamo avuto un inizio di esecuzione”, ribadisce il difensore, facendo notare che il progetto aveva anche un errore, ovvero il piano dove avrebbe colpito non era quello dove si tenevano gli esami. E tutto si concludeva col suo suicidio. Inoltre, il ragazzo è conscio della gravità di quanto fatto.

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