CRONACA
Caccia alta e caccia bassa, il lupo, i rapporti con Zali... Parla Davide Corti
Intervista al presidente della Federazione cacciatori che quest'anno festeggia i suoi 30 anni: "Vogliamo rafforzare il legame con la popolazione, lavorando su progetti di sensibilizzazione"

L'avvocato Davide Corti presiede da quasi un anno e mezzo la Federazione dei cacciatori ticinesi. Nel maggio dell'anno scorso ha raccolto il testimone da Fabio Regazzi, che con il direttore del Dipartimento del territorio Claudio Zali non ha certo avuto rapporti idilliaci. La prima domanda che gli abbiamo rivolto in questa intervista realizzata a pochi giorni dalla chiusura della stagione della caccia alta, non poteva che vertere proprio sui rapporti con il ministro responsabile dell'Ufficio caccia e pesca.

Partiamo dunque da qui...
Ad oggi, i rapporti che la Federazione Cacciatori Ticinesi (FCTI) intrattiene con il Dipartimento del Territorio e con il suo direttore, così pure con l’Ufficio della caccia e della pesca, si possono definire buoni. Le discussioni sono improntate sul reciproco rispetto e soprattutto sul riconoscimento del ruolo del cacciatore sul territorio cantonale. Nel trentesimo anno di vita della FCTI, questo clima di fiducia e collaborazione è un segnale importante: dimostra che, pur nelle differenze di opinione che a volte ci sono, l’obiettivo comune resta quello di gestire al meglio il nostro territorio e la fauna che lo abita.

Proviamo a tracciare un bilancio della caccia alta 2025 visto dal vostro osservatorio.
È un bilancio senz’altro positivo. Le aspettative riposte nel regolamento venatorio 2025 si sono in gran parte concretizzate. Abbiamo registrato l’aumento degli abbattimenti del cervo che auspicavamo: un risultato importante perché permette di contenere i danni al bosco e, allo stesso tempo, di intervenire in modo meno incisivo durante la caccia tardo-autunnale, come la FCTI chiede da tempo. Durante la caccia estiva al cinghiale è stata diminuita di molto la densità di questo selvatico per chilometro quadrato al fine di contenere gli effetti della peste suina africana e i danni alle colture. Vi sono state, per contro, leggere diminuzioni degli abbattimenti di camosci e caprioli che non rappresentano un calo degli effettivi, bensì l’indirizzo dei cacciatori verso altre tipologie di caccia, come quella al cervo e al cinghiale, che potevano essere prelevati in numero maggiore e con modalità agevolate rispetto agli anni passati.

Ma accanto alla caccia alta, di cui si parla molto, c'è anche la caccia bassa, che coinvolge tra l'altro tutto il mondo cinofilo.
La differenza tra la caccia alta e quella bassa riguarda il tipo di selvaggina cacciata e il periodo, ma i cacciatori che la esercitano sono i medesimi. Questo per dire che la caccia in Ticino va considerata come un tutt’uno e che va salvaguardata nella sua interezza e non solo come strumento di regolazione numerica. Non c’è vecchia fotografia di caccia che non riporti la presenza di almeno un cane, a conferma che il binomio uomo-cane si concretizza nella caccia, e in particolare nella caccia bassa, più che in qualsiasi altro ambito, tanto da rappresentare un aspetto culturale per noi fondamentale e soprattutto imprescindibile. Penso di non sbagliarmi se dico che i risultati che oggi possiamo raggiungere — e che potremo raggiungere anche un domani — nella gestione degli ungulati, sono il frutto di una conoscenza del territorio e di una passione nate soprattutto dalla caccia bassa con il cane.

Problema lupo: cosa bisognerebbe fare di più e in che modo i cacciatori potrebbero collaborare alla regolazione dei branchi?
Attualmente il cacciatore fornisce l’aiuto che gli è possibile dare in base alla legislazione vigente. Va detto che il cacciatore resta pur sempre un ausilio nel controllo dei lupi rispetto ai guardacaccia, che hanno altri e più incisivi strumenti per intervenire. Il cacciatore può infatti abbattere un lupo unicamente nell’ambito della normale attività venatoria, quindi durante il giorno e per periodi limitati, ciò che limita di molto le possibilità di incontro. Quello che invece il cacciatore può fornire in maniera massiccia e immediata sono le informazioni sulla presenza del lupo, che rileva grazie alla sua presenza costante e duratura sul territorio. Alcuni lupi di recente abbattuti sono stati segnalati proprio da cacciatori. È su questo che, a mio avviso, bisogna lavorare.

Ma perché, restando al tema lupo, i cacciatori sono graniticamente schierati con gli ambienti agricoli che difendono le loro greggi e il loro lavoro? Per affinità ideologiche o altro?
Vi sono certamente affinità tra cacciatori e agricoltori: infatti godono entrambi dei frutti del territorio, l’uno che da sempre si deve difendere dalle razzie della selvaggina e l’altro preposto alla sua regolamentazione. Attualmente il forte incremento di cervi e cinghiali ha legittimato un aumento degli abbattimenti che i cacciatori accettano e concretizzano, ma non è sempre stato così. Il problema si pone ciclicamente. Una volta abbassato il picco di crescita di certe popolazioni di selvaggina, si dovrà trovare il giusto compromesso tra una crescita sostenibile della fauna e i danni alle colture. In sostanza, se vogliamo osservare la selvaggina durante le passeggiate domenicali e desideriamo popolazioni sane, con riserve sufficienti a reagire a situazioni di emergenza ambientale o biologica, dobbiamo anche essere pronti ad accettare una serie di inconvenienti, tra cui un certo impatto sulle colture e sui boschi. Intervenire nei prelievi fondandosi solo sui danni, allo scopo di diminuirli il più possibile senza considerare altri parametri, potrebbe essere a medio-lungo termine una politica di gestione faunistica pericolosa.

Quest’anno la FCTI ha festeggiato i suoi 30 anni. Un traguardo importante: che bilancio fate e quali sono i prossimi passi?
Trent’anni sono un bel traguardo, ma non un punto d’arrivo. Il 2025 è stato l’occasione per guardarsi indietro con orgoglio, ma soprattutto per capire dove vogliamo andare. La Federazione è cresciuta molto, sia nel dialogo con le istituzioni sia nella comunicazione verso l’esterno. Oggi siamo più aperti, più presenti e più consapevoli del nostro ruolo sul territorio. I prossimi passi vanno proprio in questa direzione: continuare a raccontare la caccia per quello che è davvero — oltre un semplice passatempo — una componente essenziale della gestione ambientale e della cultura del nostro Cantone. Vogliamo rafforzare il legame con la popolazione, lavorando su progetti di sensibilizzazione, collaborazioni con scuole e media e una presenza più attiva anche nei contesti urbani. L’obiettivo è chiaro: far conoscere la realtà dei cacciatori come parte della soluzione, non del problema, e mantenere la FCTI come interlocutore credibile, moderno e vicino alla gente.

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