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02.10.2015 - 17:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Lorenzo Jelmini, «Stato, non siamo tutti uguali, non puoi imporci come essere»

Il deputato PPD lancia un'iniziativa a favore di una griglia scolastica più compressa per classi speciali formate da talenti in campo sportivo e musicale. «Bertoli parla di scuola inclusiva, ma come si fanno a includere questi ragazzi che vogliono anche fare altro senza penalizzarli?»

BELLINZONA - La Lugano sportiva, intesa come hockey e calcio, ci sta lavorando da un paio d'anni. L'obiettivo è creare delle classi particolari per i giovani che abbiano talento sportivo, per permettere loro di adattare le esigenze scolastiche a quelle sportive, estendendo la misura anche ai musicisti. Il DECS, però, ha risposto picche, giustificandosi dicendo che la scuola deve essere inclusiva. Il candidato PPD alle federali Lorenzo Jelmini ha apprezzato l'idea partita da HC e FC Lugano, e ha lanciato un'iniziativa. «Vogliamo un cambio di mentalità, far capire che la scuola deve essere adeguata alle esigenze della società: nel caso concreto, si parla di quelle di alcune società sportive e culturali che vedono a livello di scolarità media problemi di carico di tempo, non di lavoro, per gli alunni. I ragazzi vanno a scuola, alla sera praticano sport o musica, e sono impegnati fino alle 21.30-22 con conseguenze anche sulle famiglie, e mancano loro poi tempo e energie per studiare».Cosa fare, dunque?«Laddove ci sono necessità e possibilità, perché non permettere di creare della classi con una griglia orario più compressa? Non vogliamo cambiamenti nella proposta scolastica, ma pianificare meglio, in modo che possa rientrare a casa verso le 18, per studiare e poter cenare con la famiglia. Gli spazi all'interno fanno compressi, giocando sulle pause del mezzogiorno per esempio. L'FC Lugano avrebbe una novantina di ragazzi interessati, l'HC Lugano una sessantina, per cui sarebbero parecchi solo per due club, se aggiungiamo anche il conservatorio (presente alla conferenza stampa) i numeri ci sono».Il rischio è che, non venendo incontro a questi ragazzi talentuosi, essi lascino lo sport o la musica, oppure non studino. «Sì, non riescono a conciliare, e ci perdono tutti, da loro alle famiglie. È un progetto partito dalle società, due anni fa, poi si sono scontrate con una posizione di chiusura del DECS».Come valuta questo atteggiamento?«Il DECS, ricordiamolo, non è solo il Dipartimento della scuola ma anche della cultura e dello sport. Ho pensato potesse esserci un problema di pianificazione della scuola o da parte dei docenti, invece ho approfondito con alcuni direttori e alcuni professori, e sono entusiasti di questa possibilità, non avrebbero nessun problema. Bertoli parla di una scuola che deve essere inclusiva, mi deve spiegare lui come si fa a includere ragazzi che sono in giro fino alle 22 per le loro attività e le famiglie che devono seguirli in ogni loro attività. Una posizione di chiusura che non impone di vedere le differenze è purtroppo la logica che vediamo nelle scelte del DECS col suo direttore: tutti con gli stessi diritti e tutti uguali. Sui diritti sono d'accordissimo, ma non siamo tutti uguali, c'è chi ha necessità e desideri diversi. Lo Stato deve riconoscere questo e adeguare le proposte al fatto che non siamo tutti uguali».Senza un aiuto, i giovani che vogliono giocare o suonare, addirittura si troverebbero con meno diritti, concorda?«Esattamente, si causa l'effetto contrario. Non è che se tutti facciamo lo stesso orario o le stesse cose siamo tutti uguali, lo vedo nei miei due figli. Certe situazioni sono assurde verso i giovani talenti, ove non si va loro incontro. C'è da parte dei funzionari e di Bertoli troppa chiusura, per questo ho deciso di portare l'iniziativa sui banchi del Gran Consiglio, come unico modo di dare una spinta a un progetto interessante, e decidere politicamente, visto che dopo due anni di discussioni col dipartimento non si è arrivati a nulla. Mi sembra interessante l'impostazione differenze da dare allo Stato, esso deve essere sussidiario alla società, non imporci come vuole: oggi è questo, domani qualcos'altro. Mi piaceva l'idea della società che chiede qualcosa allo stato, un'iniziativa addirittura sostenuta dall'ambito scolastico. Il tutto mi ha fatto pensare che è qualcosa di valido, oltre al pensiero delle famiglie dei ragazzi interessati che ne trarrebbero vantaggi».
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