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26.09.2016 - 09:330
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Gli editoriali affossano "Prima i nostri". «Uno slogan che creerà impasse anche a livello cantonale»

Righinetti pensa che «tradurre il voto in pratica sarà molto complicato», per Bertagni l'iniziativa «finirà nello stesso tunnel dell'articolo 121a», Pontiggia parla di un disagio diffuso in Ticino

BELLINZONA - E adesso? È il giorno dopo la votazione con cui i ticinesi hanno deciso di includere "Prima i nostri" nella costituzione. Dopo festeggiamenti (da una parte) e delusione (dall'altra), è tempo di capire come e se l'iniziativa potrà essere applicata. Sarà un nuovo 9 febbraio? Ne sono abbastanza convinti Gianni Righinetti nel suo articolo apparso sul sito online del Corriere del Ticino e Aldo Bertagni nel suo editoriale su La Regione. «L'UDC (con il sostegno essenziale della Lega) ha convinto i ticinesi grazie ad un messaggio chiaro e semplice. Anzi, semplicistico, al punto da essere considerato alla pari di uno slogan», ha commentato Gianni Righinetti, sottolineando come "gli altri" sono soprattutto i frontalieri. «Ma poi tutti, dai politici dell'intero arco costituzionale (compresi leghisti e democentristi), agli imprenditori ai sindacati a ritenerli importanti per il Ticino. Fondamentalmente i frontalieri non li vorremmo, ma sappiamo che (ci) sono utili. E, soprattutto, costano meno dei ticinesi. È proprio vero che la vita è piena di contraddizioni». «Il voto dei ticinesi merita rispetto e considerazione, ma non si può negare che tradurlo in pratica sarà molto complicato» afferma poi, citando l'esempio della discussione di settimana scorsa al Nazionale sull'applicazione del 9 febbraio. «Sono i politici che mettono i bastoni tra le ruote ai cittadini o dobbiamo constatare che nella complessità attuale la democrazia diretta (o semidiretta) è sopravvalutata?», si chiede infine. Duro Aldo Bertagni (nella foto), che parla di un voto scaturito dalla paura. «Essa è ormai piattaforma di lotta e di governo per chi - come la destra ticinese - intende gestire indisturbato il potere grazie ai consensi generati, appunto, da una falsa percezione". Secondo il giornalista, il no a "Basta col dumping salariale in Ticino" si può leggere nel seguente modo: «L'invasione dei lavoratori stranieri è un'emergenza e va trattata di conseguenza, mentre le condizioni di lavoro - dei residenti e degli stessi stranieri - certo ci preoccupano ma possono restare nel solco della normalità». "Prima i nostri", a suo avviso, non risolve i problemi. «Non lo risolve perché la legislazione sul lavoro è di competenza federale, come ogni prescrizione di politica estera. Ora si farà un gruppo di lavoro allargato anche agli iniziativisti e molto probabilmente si finirà nello stesso tunnel dove è caduto l'articolo 121a della Costituzione Federale dopo il sì popolare del 2014 all'iniziativa contro l'immigrazione di massa. "Prima i nostri" è un slogan efficace, peccato però che l'efficacia sia necessaria solo a generare "la comunanza della paura" mentre si è ben lontano dal constatare una comunanza data dalla penuria di lavoro, denaro, opportunità sociali e culturali. Sarà perché giocare tutto sulla diversità nazionale costa meno (socialmente parlando) che battersela sulla differenza fra ceti». Il direttore del Corriere del Ticino Fabio Pontiggia, dal canto suo, parla di disagio. Il sì a "Prima i nostri", il 45% dei consensi di "Basta col dumping salariale in Ticino" e l'approvazione, a livello cantonale, dell'iniziativa sull'AVS, «sono l’espressione di un grande disagio che da alcuni anni mette una buona fetta della popolazione sulla difensiva. I numeri dell’economia ticinese sono positivi, ma molti cittadini vivono una realtà percepita come pesantemente negativa, priva di garanzie nel presente e con scarse prospettive per il futuro". Infatti, «chissà quante regioni europee invidiano la situazione economica del Ticino; da noi prevalgono invece un atteggiamento di rigetto quasi totale e un desiderio di dare un taglio netto a quel che è stato realizzato nell’era degli Accordi bilaterali». E Pontiggia prevede che «il disagio diffuso si trasformerà in una insofferenza altrettanto diffusa (in parte ciò è già avvenuto). Di qui il dilemma di fronte al quale si trova oggi chi governa e legifera: attuare pienamente e fedelmente quanto voluto dalla maggioranza dei votanti (risicata sul piano nazionale: vedi 9 febbraio; netta sul piano cantonale: vedi ancora 9 febbraio e ora "Prima i nostri") priverebbe il Ticino (e la Svizzera) di un motore di sviluppo e di crescita (un’economia più aperta grazie ai Bilaterali); ma non dare seguito alla volontà popolare getterebbe benzina sul fuoco del disagio e dell’insofferenza e molto verosimilmente moltiplicherebbe le proposte e le decisioni che spingono per una chiusura o per un arroccamento dell’economia e del mercato del lavoro». Sottolinea come la preferenza indigena sia solo un obiettivo sociale, dunque nessuno potrà rivolgersi a un Tribunale se non gli venisse accordate. «All’impasse federale rischia quindi di aggiungersi un’impasse cantonale, in un clima di insofferenza montante tra i cittadini e di tensione crescente fra i partiti, indipendentemente dai numeri reali di un’economia che regge».
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