di Francesca Amaddeo *
La pandemia sembra giungere al termine, le restrizioni si allentano e la normalità sembra riprendere. Non sarà facile, tuttavia, eliminare tutti i cambiamenti che il COVID-19 ha comportato.
Una svolta particolare ha impattato sul mondo del lavoro. Infatti, la presenza fisica da sempre cardine dell’attività lavorativa, a fronte delle restrizioni e/o per motivi di sicurezza personale, è progressivamente venuta meno. Si è assistito ad uno sdoganamento del telelavoro o lavoro da remoto, spesso indicato anche come smartworking o home office.
Salvo alcune attività che necessariamente richiedono il proprio svolgimento in un luogo fisicamente determinato, molte professioni si sono viste traslare nelle case dei lavoratori o, comunque in altre sedi, diverse da quelle comunemente individuate come uffici.
E questa profonda trasformazione porta con sé una serie di problematiche fiscali, forse ancora troppo sottovalutate. Le regole del diritto tributario, specie internazionale, sono sempre state ancorate al concetto di presenza fisica, ripartendo la potestà impositiva tra lo Stato di residenza del lavoratore e lo Stato della fonte, ossia dove l’attività viene concretamente svolta.
Generalmente le convenzioni contro le doppie imposizioni attribuiscono il diritto di assoggettare ad imposta il reddito di lavoro laddove questo viene creato, a patto che ciò avvenga tramite la presenza fisica del contribuente in quel determinato luogo, per un periodo sufficientemente lungo. Questi presupposti, in presenza del lavoro da remoto, vengono meno.
Ecco che, quindi, alla luce di questo distanziamento occorre rivedere le norme adattandole ad una nuova realtà, più virtuale.
Nel corso del 2020, ma soprattutto del 2021, diversi Paesi hanno introdotto degli schemi, riconducibili a due principali tipologie, atti ad attrarre fiscalmente i telelavoratori.
L’Estonia, tra i più innovativi, ha introdotto per prima i concetti di e-residenza, oltre al cd. visto per nomadi digitali.
La prima fattispecie consente a soggetti stranieri, per lo più provenienti da Paesi terzi rispetto all’Unione Europea, di ottenere un apposito permesso con cui, a certe condizioni, possono aprire una società sul territorio e condurre, quindi, un’attività imprenditoriale in Europa, senza - di fatto - mai metterci piede.
L’idea è quella di concedere ai richiedenti un’identità digitale (ID), riconosciuta dal governo locale, a prescindere da nazionalità e paese di residenza. Questa ID non ha la validità di un passaporto o di un attestato di residenza: non comporta quindi la possibilità di viaggiare o di vivere nel Paese. Lo scopo è quello di consentire a stranieri di aprire una società nel territorio, esclusivamente tramite internet. In questo modo, la società può essere registrata validamente con sede in uno Stato membro dell’Unione Europea. La stessa potrà, altresì, aprire un conto corrente nello Stato. La misura ha come target imprenditori che viaggiano regolarmente, tra cui i cd. nomadi digitali, che abbisognano di una sede legale per la propria attività in Europa senza lungaggini burocratiche e completamente online.
In Estonia, per esempio, ad oggi i detentori dell’e-residenza sono 89’643 e tramite questo schema sono già state aperte 20’287 società, di cui solo 347 nell’ultimo mese
I visti per i cd. Nomadi digitali, ossia per i lavoratori che abbisognano solo di un pc e della rete internet per svolgere la propria professione (idealmente si parla di freelancer), concedono, previo soddisfacimento di alcuni criteri, un permesso temporaneo (della durata compresa tra i sei mesi e i cinque anni) per risiedere in un determinato territorio ove tele-lavorare.
Occorre precisare che il visto non attribuisce né la residenza permanente nel territorio né tantomeno la cittadinanza. Il principale vantaggio che il telelavoratore ne può conseguire è quello di poter soggiornare per un periodo di tempo superiore a quanto gli sarebbe consentito tramite un semplice visto turistico. Inoltre, tale documento certifica il soggiorno del contribuente nel territorio. E questo verso il pagamento di una somma irrisoria.
Sul web è possibile rinvenire portali appositamente predisposti, ove i visti sono classificati per località, costo della vita, durata del permesso, imposizione a livello nazionale e, infine, velocità del Wi-Fi. Queste, evidentemente, le condizioni essenziali valutate per il trasferimento da parte degli interessati. Molti sono i Paesi europei che, ad oggi, offrono tali visti: Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Grecia, Islanda, Malta, Macedonia del Nord, Norvegia, Portogallo, Romania e Spagna.
I richiedenti, tendenzialmente ammessi solo se provenienti da Stati terzi, extra-UE, devono presentare una serie di documenti, relativi alla propria professione, alla motivazione per cui intendono soggiornare nel territorio, talvolta relativamente al reddito percepito, il casellario giudiziale.
Diversi schemi sono offerti in Paesi in cui il contribuente è esentato dal versamento delle imposte locali (quantomeno al di sotto di specifiche soglie temporali): questa combinazione consente al telelavoratore di programmare la propria mobilità in linea con un’intelligente pianificazione fiscale.
Ad oggi, il telelavoro non è disciplinato da specifiche norme a livello internazionale. Le previsioni esistenti, basate sul nesso dato dalla presenza fisica, lasciano spazio allo sfruttamento di schemi di residenza temporanea, tramite, ad esempo, i Digital Nomad Visa.
È evidente che si sta assistendo ad uno slittamento della concorrenza fiscale, in termini di attrattività, dalla tassazione delle società a quella relativa alle persone fisiche in particolare, con riferimento a quei profili, tendenzialmente specializzati, che riescono ad esercitare la propria attività da remoto, utilizzando principalmente gli strumenti offerti dalla tecnologia.
C’è da chiedersi se non sia il caso di sfruttare i vantaggi che il territorio svizzero offre, in termini di benessere, servizi, piazza finanziaria, offrendo simili visti per chi vuole svolgere la propria attività da remoto, ma godendosi, magari, la magnifica vista del Lago Ceresio. In un centro che si vuole presentare come il nuovo polo delle criptovalute, perché non incentivare il virtuale anche in altri settori?
* Docente-Ricercatrice Centro Competenze Tributarie SUPSI - Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale