"Il primo rischio è quello di “perdere di vista i volti delle persone”, ma anche di “dimenticare come riconoscere e valorizzare tutto ciò che è autenticamente umano”

di Don Gianfranco Feliciani
Si è capito fin dall’inizio: il cardinale Prevost eletto Papa ha scelto il nome di Leone XIV (e il nome, come abbiamo visto in Papa Francesco, è tutto un programma) ricollegandosi a Leone XIII (1878-1903), passato alla storia come il Papa della “Rerum Novarum”, l’enciclica che rappresenta il documento fondativo della Dottrina sociale della Chiesa. Leone XIII apriva così di fatto, nel 1891, la stagione cattolica sulla questione sociale. Nel secolo della rivoluzione industriale la Chiesa si presentava come interpretazione della vita civile e sociale. In questi primi sei mesi di pontificato, Leone XIV non ha mai smesso di parlare e di mettere in guardia dai rischi della “rivoluzione digitale”, paragonabile a quella industriale dell’Ottocento.
L’occasione per trattare di intelligenza artificiale, per Papa Leone è stato il messaggio rivolto ai partecipanti al Congresso internazionale della Pontificia Accademia per la Vita, tenutosi a Roma in questi giorni, sul tema “Intelligenza Artificiale e medicina: la sfida della dignità umana”. L’IA induce a interagire “con le macchine come se fossero interlocutori, diventando quasi un’estensione di esse”, scrive il Papa, e per questo il primo rischio è quello di “perdere di vista i volti delle persone”, ma anche di “dimenticare come riconoscere e valorizzare tutto ciò che è autenticamente umano”. La fase di progresso incontrollato, mette in guardia il Papa, “influenza profondamente il nostro modo di pensare, modificando la comprensione delle situazioni e la percezione che abbiamo di noi stessi e degli altri”. La professionalità medica non deve mai ridursi “alla mera risoluzione di un problema” e non si deve permettere agli strumenti della tecnica di “sminuire la relazione personale tra paziente e operatore sanitario”. Insomma, se l’IA vuole davvero essere al servizio della dignità umana “occorre garantire che essa rafforzi realmente sia le relazioni interpersonali sia la qualità dell’assistenza offerta”.
Spesso alla Chiesa è stato rimproverato – non senza ragione - di parlare troppo in astratto e in maniera disincarnata. Qui il Papa, anche se per forza di cose usa un linguaggio impegnativo - e pochi sanno esattamente quale sfida rappresenti l’IA - tutti avvertiamo però che la questione è cruciale, urgente e decisiva: ne va della stessa qualità della nostra vita umana. Ed è il valore più grande in assoluto!