TRIBUNA LIBERA
Bruno Cereghetti: "Le aperture sono un azzardo, che porteranno a una crescita dei contagi"
L'ex capo Ufficio assicurazione malattia è decisamente pessimista sulle riaperture: "La fase di convivenza col virus non ha funzionato, portando alla seconda ondata, Il ciclo economico ripartirà, i morti non resusciteranno"

di Bruno Cereghetti*

Il motore di ogni pandemia, la storia dell’umanità lo insegna, è il movimento della popolazione con le relative aggregazioni. Tutto qui. La storia insegna anche che le pandemie hanno un tempo limitato, poi passano. Quanto sia esteso, o contenuto, il tempo della pandemia, dipende proprio dall’intensità del movimento della popolazione.

Se queste semplici verità fossero capite dapprima, e interiorizzate poi, anche questa pandemia sarebbe meglio percorribile da tutti e con il minimo di danni sociali irreparabili, ossia le morti da virus. Ma in una società obesa come la nostra, dove non si fa più la differenza tra l’essenziale e ciò che deriva dal puro principio del piacere, è difficile far passare le verità semplici e di base.

Viste sotto questa ottica, appaiono grandemente indecenti le pressioni dell’economia, di talune cerchie di interessi specifici, o di certa (purtroppo estesa!) conglomerazione politica verso il Consiglio federale per aperture a gogo, connotate dal multiombelicalismo di settore, dove ognuno protesta la propria assoluta centralità, e relativa essenzialità, non solo nella società, ma financo per la vita individuale delle persone.

Il Consiglio federale, nella recente decisione del 17 febbraio, ha esagerato con le aperture verso nuovi grandi generatori di movimento e aggregazione (al di là di quanto già presente in modo più che discutibile: stazioni di sci aperte e vettovagliate, take away con affollamenti alla stregua autentici bar all’aperto, …), stravolgendo quello che tutto sommato era un equilibrio che stava rispondendo in maniera (quasi) adeguata alla matematica e alla biologia del virus, con riduzioni della curva pandemica, delle ospedalizzazioni e soprattutto della mortalità, sempre socialmente immorale, da virus. Senza però aver ancora azzerato il numero dei contagi.

Il che significa che la brace che cova sotto le ceneri è ancora estremamente incandescente a tal punto che ci mette poco a far divampare la terza ondata dell’incendio. 

Di questo il Consiglio federale stesso se ne rende conto, considerato che in conferenza stampa ha più volte ammesso di star assumendo un rischio non indifferente.

L’azzardo – e mi piacerebbe immensamente essere smentito dai fatti – sarà una recrudescenza dei contagi, caratterizzata da varianti sempre più aggressive del virus, perché il mestiere del virus è proprio quello di generare mutazioni che gli consentano una migliore propagazione. Con pertanto maggiori probabilità del ritorno a chiusure che non a nuovi allentamenti.

A minor ragione, a questo punto, possono essere udite le doglianze dell’economia, dei segmenti specifici con interessi diretti, o semplicemente dei movimentisti contraddistinti da spirito ludico, invocare le piene libertà pur in regime di misure accresciute di sicurezza e protezione. La dimostrazione è pertanto semplice ed è sotto gli occhi di tutti (ad eccezione di coloro che rifiutano di vedere): l’indirizzo impostato sulla convivenza con il virus e basato sulla responsabilità individuale e sulle misure di protezione, che ha caratterizzato l’approccio alla pandemia dalla fine della prima ondata, è miseramente fallito. E ha portato dritto dritto alla ben più micidiale seconda ondata. Che essa sola ha causato a oggi ben 602 morti in più nel nostro Cantone (morti vere, non quelle metaforiche “di società”). Ossia un bilancio indecente e civilmente insostenibile.

Perché alla fine della pandemia il ciclo economico e quello dei contatti normali di certo ripartiranno. Ma i morti di virus, quelli, non resusciteranno.

*ex capo Ufficio assicurazione malattia

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