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16.11.2016 - 16:120
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Lo spettro del “too big to fail”

di Sinue Bernasconi

Dal verbale di una seduta della Commissione dell’ambiente del Nazionale, su cui ha messo le mani la SonntagsZeitung, trapelano informazioni allarmanti. Il Presidente del CdA di Alpiq, Jens Alder, avrebbe dichiarato ai deputati che l’azienda ha tentato di vendere le centrali di Gösgen e Leibstadt. “Purtroppo – avrebbe raccontato disperato ai deputati – nessuna società europea è interessata a rilevare le nostre centrali nucleari, nemmeno per un prezzo stracciato”. Visto l’insuccesso ora il piano di Alder è un altro: “Venderemmo volentieri allo Stato le nostre centrali nucleari, anche per la cifra simbolica di 1 franco”. No, aspettate, fatemi capire. Qualche giorno fa questi minacciavano risarcimenti miliardari e ora scopriamo che stanno facendo di tutto pur di sbarazzarsi delle loro centrali? Qualcosa non torna. A fortiori considerato che le centrali di Alpiq sono le più recenti e produttive del Paese. Come si spiega questa pseudo-generosità è presto detto. Nessuna centrale nucleare svizzera è più redditizia da anni, visto che la sovrapproduzione di energia europea mantiene i prezzi dell’elettricità ai minimi storici. Per l’intero parco nucleare svizzero si parla di un deficit annuo di oltre 600 milioni. Parte di questo deficit è compensato da investimenti miliardari nel rinnovabile, per il quale i costi di produzione diminuiscono a un ritmo vertiginoso. Ma questo non basta a uscire dalla disastrosa situazione finanziaria. Lo stesso Alder avrebbe invocato l’aiuto dei deputati dicendo: “Con le centrali nucleari nei prossimi dieci anni perderemo solo denaro; e in merito a quello che avverrà in seguito, nessuno sa nulla. Dobbiamo in qualche modo trovare una soluzione per uscire da questa situazione”. Oltre a non riuscire a coprire i costi di esercizio, i gestori delle centrali dovranno poi occuparsi di sostenere le spese di smantellamento delle centrali e di stoccaggio delle scorie radioattive. Diversi esperti ed enti autorevoli stimano questi costi compresi tra i 27 e i 100 miliardi di franchi. A oggi ne sono stati accantonati a tal scopo solo 7. Per gli esperti è dunque chiaro che le richieste di risarcimento miliardarie avanzate da Alpiq e Axpo non sono altro che un bluff colossale: hanno zero chances di essere accolte da un tribunale. Lo scopo di tali ricatti è far paura alla gente ed esercitare pressioni nei confronti della Confederazione per spingerla a costituire una società di copertura dei costi in mano allo Stato. La legge prevede difatti che in caso di fallimento dei gruppi elettrici sia la Confederazione ad assumersi i costi relativi alla disattivazione delle centrali e allo stoccaggio delle scorie radioattive. I cittadini saranno così costretti a pagare decine di miliardi di franchi per evitare un grounding delle aziende che gestiscono le centrali nucleari. La questione che si pone non è dunque se pagheremo, ma quanto. Spegnendo le centrali in modo graduale eviteremmo che 75 t di scorie radioattive si sommino ogni anno a quelle già prodotte. Sì all’uscita dal nucleare, perché ogni istante in più di funzionamento non fa che rendere più salata la fattura finale per il cittadino!Sinue Bernasconi, membro di Comitato ALRA
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