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Cronaca
11.09.2018 - 13:450

"Tutti gridavano, mi disse che non poteva rispondere a quell'ultima email perchè evacuavano il palazzo"

17 anni fa l'attentato alle Torri Gemelle. Una testimonianza: "di quell'uomo gentile non seppi più nulla, non ho mai osato chiedere"

NEW YORK – Ci sono quei fatti, quei momenti, in cui anche a distanza di anni, se ti chiedono dov’eri e che cosa stavi facendo, te lo ricordi. Il crollo delle Torri Gemelle è uno di quelli, forse un avvenimento che cambiò il mondo.

Chi scrive, per esempio, era ancora alle scuole medie. Finita la lezione di ginnastica, fu mia mamma, mentre salivo in auto, a dirmi “c’è stato un attentato a News York”, l’aveva avvisata un’amica a cui aveva telefonato il marito, in una catena di commenti perplessi. Tutti davanti alla tv, increduli. Ricordo che con attentato pensavo a qualcuno che era entrato sparando, non immaginavo di certo quel che era realmente accaduto.

Tra le tante testimonianze su quel giorno, per ricordare il crollo delle Torri Gemelle, ho scelto quella di Simona Trabucco, dal titolo “Alla ricerca della voce perduta”, che riporto integralmente:

“17 anni fa esatti, intorno alle 2 del pomeriggio, ero al telefono col mio spedizioniere con uffici nell'Empire State Building. Li a New York erano quasi le 9 di mattina. Ho praticamente avuto la notizia del primo attentato alle Torri Gemelle in diretta. 

Poichè ero una giovane manager abbastanza esigente e perfezionista, quanto insicura (avevo 29 anni!), e la mia azienda aveva diversi container di merce in ritardo fermi al porto di New York, ricordo che l'impiegato italiano della società di spedizioni mi richiamò qualche minuto dopo la nostra prima telefonata mattutina per scusarsi ed avvisarmi che purtroppo non poteva dare seguito alle mie richieste perchè l'edificio stava per essere evacuato... 

Questa cosa mi scioccò, un po' per la dedizione al lavoro di quell'uomo paziente dall'accento meridionale con cui parlavo tutti i giorni dalle 2 del pomeriggio e che subiva tutte le mie richieste e le pressioni del business, un po' per la mia relazione con lui, una relazione quotidiana in cui si parlava solo di dogana, dazi, 40 piedi o 20 piedi, by rail, vessel, airfreight, e date di consegna da rispettare al secondo, niente altro anche se i saluti all'inizio di ogni telefonata stavano diventando sempre più amichevoli e confidenziali, a volte scherzosi, visto che eravamo come due partner con una missione comune.

Ancora oggi sento un nodo alla gola perchè dopo quella giornata, non so il perchè, lui non rispose più al telefono, anche se non era nelle Torri colpite dagli aerei. Sparì. Non seppi più nulla di lui e non ricordo se chiesi di lui, forse non volli chiedere.

Mi rimase in mente e riesco ancora a ricordare la sua voce cambiata, terrorizzata, di quella ultima telefonata in cui attorno a lui tutti gridavano e lui mi avvisava che doveva lasciare il posto di lavoro e non avrebbe potuto rispondere all'ultima email che avevo inviato qualche attimo prima.

Altri tempi, una vita fa. Non ricordo il suo nome e non ricordo molto di me, com'ero allora, chi ero, cosa mi spingeva e mi animava.
Io ero nel mio ufficio a Lugano e simultaneamente anche li a Manhattan, quel giorno, come anche oggi, considerato che è diventata anche una delle città che più amo e dove amo tornare. 

Nella foto (che noi non alleghiamo, ma che compare nel suo post, ndr) avevo 32 anni, era il 2004 ed ero in viaggio di lavoro a New York. Le Torri Gemelle non le ho mai viste dal vivo e neanche ho incontrato l'impiegato meridionale che con la sua voce dolce e paziente ogni mattina rassicurava le ansie della giovane manager che impersonavo.

Allora ero già quella di oggi e oggi sono ancora quella di ieri, qui e in quella città controversa che vedeva i suoi simboli crollare, alla malinconica ricerca della voce perduta”.

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