CRONACA
9 febbraio, l'UDC rinuncia al referendum, Romano si indigna con PLR e PS, OCST alza la voce
Rösti ha detto che il suo partito non lancerà un referendum, il pipidino giudica «irrispettosi coloro che non danno la precedenza a chi è in disoccupazione o assistenza». OCST: «e i livelli salariali?»
BERNA - Il 9 febbraio, sempre e comunque. Continua a parlarne il Parlamento, ne parlano i politici. Lo ha fatto ieri sera il presidente dell'UDC nazionale
Albert Rösti
, che ha affermato in tv che il suo partito non lancerà un referendum contro la legge di applicazione che sta emergendo dalla sessione alle Camere.Secondo i vertici del partito democentrista, il Governo non attuerebbe in ogni caso una legge più severa, e dunque il popolo verrebbe chiamato alle urne per niente.Intanto, a Berna si continua a discutere. Chi non molla è
Marco Romano
, che anche ieri ha difeso il modello PPD, ma ogni giorni, attraverso i commenti sui social, appare sempre più scoraggiato. Oggi ha infatti postato: «Continua l'esercizio arrogante, incongruente e inconsistente della maggioranza PS-PLR / la legge di applicazione che ci stanno imponendo è una farsa! Le chicche delle giornata: il PS che non vuole considerare il dumping salariale come motivo per prendere misure correttive; fuori dal mondo, PS-PLR che non vogliono dare la preferenza alle persone in disoccupazione o in assistenza rispetto a quelle semplicemente in cerca di lavoro; irrispettosi!».Un discorso che ricalca, in fondo, quello contenuto in un comunicato inviato in redazione da OCST. «Nell’ambito della discussione sull’applicazione dell’articolo costituzionale approvato dal popolo il 9 febbraio 2014, l’OCST ritiene che manchi un tassello fondamentale: quello dei livelli salariali. Questo aspetto va sottolineato e richiamato perché è all’origine delle distorsioni del nostro mercato del lavoro», scrive infatti il sindacato, ricordando che lo scarto salariale fra residenti e frontalieri è del 25,6%, il più marcato a livello nazionale, date le condizioni del mercato italiano che permettono, prosegue la nota, di accettare degli stipendi più bassi rispetto ai ticinesi. «La questione salariale è centrale ed è l’unica via veramente efficace per difendere il mercato del lavoro dal dumping salariale ed aumentare in modo consistente le possibilità dei residenti di trovare un’occupazione. Eppure questo, che è il nodo cruciale della questione, non viene preso in considerazione sebbene sia una via di intervento che non intacca i rapporti con l’Unione Europea».«Quanto potrà essere utile chiedere ai datori di lavoro di fare alcuni colloqui ai lavoratori residenti iscritti agli URC, specialmente se questa norma entra in vigore quando i tassi di disoccupazione saranno molto distanti da quelli attuali? Quanto questa norma potrà incidere sulla pressione cui sono sottoposti i salari ticinesi che, lo ricordiamo, sono il 17% più bassi della media svizzera? Probabilmente poco e sicuramente meno dell’introduzione di contratti collettivi che difendano le condizioni lavorative e salariali», si chiede OCST. «Il nostro Paese, alla cui ricchezza ha contribuito anche un solido partenariato sociale, vive oggi una cultura imprenditoriale e politica impoverita di questo importante aspetto. Lo dimostrano i contratti collettivi trentennali disdetti senza nessun motivo con l’ostentazione del desiderio di un rapporto diretto con i propri dipendenti. Lo dimostra la diffusione della precarietà. Lo dimostra il grande numero di abusi. Il partenariato sociale e la responsabilità sociale delle imprese devono essere invece rinnovati in vigore ed efficacia».
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