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Cronaca
12.09.2020 - 16:220

Anziani positivi non divisi da chi stava bene, operatori fatti lavorare anche con sintomi: cosa è successo nelle case anziani?

È la domanda a cui ha cercato di rispondere Patti Chiari. C'è un dipendente di una struttura che ha parlato addirittura di minacce di licenziamento e denuncia se avesse parlato dei contagi. E qualcuno comprava di tasca sua le mascherine

COMANO – Patti Chiari, la trasmissione d’inchiesta della RSI, è tornata dopo la pausa estiva occupandosi di un tema sicuramente controverso e scottante, ovvero i contagi e i decessi per Covid nelle case anziani. Se il virus in altri ambienti ha portato a un decesso ogni 1'800 persone, nelle residenze per anziani si parla di uno ogni 30.

Ma se dopo pochi giorni sono state vietate le visite, come è possibile che il virus abbia continuato a entrare e a propagarsi?

Diverse le testimonianze, di parenti e operatori, che hanno messo in luce diversi elementi. Primo fra tutti, il dovere di lavorare anche con la febbre e i sintomi, il limite era a 38°: secondo molti operatori, chi era positivo ha contagiato gli anziani. Ma tamponando e lasciando a casa chi risultava positivo, il rischio era di rimanere con poco personale e dunque secondo un testimone, si è scelto di garantire comunque le cure ma rischiando di contagiare gli anziani.

Gli stessi non sempre sarebbero stati divisi in modo corretto. Da qualche parte i positivi venivano portati a cenare, quando non vedevano i responsabili, assieme a chi non era malato. I reparti Covid non stati creati, però spesso il trasferimento avveniva dopo qualche giorno. A volte, si annunciava la presenza di un positivo solo con una C sulla porta della stanza, con gli operatori che si occupavano sia dei malati di Coronavirus che di chi non aveva il virus, soprattutto di notte.

Le camere doppie pare siano state un veicolo di contagio. Non sempre i positivi sono stati separati dai compagni di stanza, non c’era nemmeno lo spazio per avere le distanze sociali. E i contagi sono stati parecchi.

Nei reparti Covid, veniva usato un camice monuso per paziente, ovvero veniva lasciato appeso e tutti gli operatori che entravano nella stanza utilizzavano quello. Ma il Medico Cantonale grigionese spiega come, con particolare attenzione, si potesse.

Per quanto concerne i dispositivi di protezione, sovente sono mancati. Un operatore ha raccontato di aver speso di tasca sua più di 1'000 franchi in mascherine in 3-4 mesi. Se inizialmente si diceva che una monouso può essere tenuta per 2 ore, quindi 4 mascherine per turno, si è passati a un uso di 8 ore. Per chi lo racconta, il problema era la scarsità. E c’erano a volte solo camici normali, in cotone, a maniche corte.

Qualcuno addirittura si spinge a parlare di mascherine FFP2 consegnate solo quando arrivava il controllo, con minacce di licenziamento e denuncia nel caso in cui si fosse parlato all’esterno dei contagi: la struttura smentisce, ma per molti i 153 decessi sono in realtà di più.

Gli anziani raramente venivano ospedalizzati, anche quando i medici ammettevano che non c’erano nelle case anziani i medicamenti necessari. Si dice che la decisione di trasferimento in ospedale o no viene condivisa da parenti, operatori curanti e medico della struttura, i parenti fanno sapere che in realtà la scelta veniva semplicemente comunicata.

Ci sono poi le incongruenze sulle cartelle cliniche denunciate da qualcuno, la possibilità di entrare ancora senza controlli a trovare i propri cari quando tutto era già stato chiuso.

Insomma, tanti dubbi, tante domande che i parenti di chi ha perso qualcuno si pone: come è stato contagiato il mio caro, si poteva fare qualcosa? Il fatto che poi quasi il 60% degli operatori testati sia risultato positivo vuol certamente dire qualcosa, scatenando anche sensi di colpa fra chi teme di aver portato il virus alle persone di cui si occupava.

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