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13.04.2017 - 14:550
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Bosia Mirra non si dimette. "Era impossibile agire in modo diverso. La mia è una battaglia per tutti gli uomini"

Da Belgrado, la socialista si dice sconcertata per la condanna. "Racconterò ciò che ho visto a Como, la dimostrazione della fine dell'umanità. Il clima politico pesante fa pressioni sulla giustizia"

BELGRADO – La notizia del giorno è senza dubbio la condanna subita da Lisa Bosia Mirra, ritenuta colpevole di ripetuta incitazione all'entrata, alla partenza e al soggiorno illegale secondo la Legge federale sugli stranieri, e condannata alla pena pecuniaria di 80 aliquote giornaliere. La deputata socialista si trova al momento in Serbia per motivi umanitari, ma dai contatti avuti con alcuni media, e da quanto scritto sulla sua pagina Facebook, non intende dimettersi dal Gran Consiglio, e non appare pentita di quanto fatto.

A Radio 3iii si è detta amareggiata per una “condanna senza attenuanti, non è stato preso in considerazione il memoriale difensivo. C’è anche un clima politico che riguarda il tema dei migranti.  Ciò che è difficile far comprendere che la battaglia per i diritti è per tutti, anche per esempio per i diritti delle Guardie di confine: non trovo normale che debbano rastrellare i treni e trascinare giù le persone. Ci vorranno anni per dimostrare che si sta operando non secondo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, eppure ne sono sicura. I migranti sono diventati merce di scambio politico: p una battaglia che io ho scelto e a cui non rinuncerò, una battaglia per tutti gli uomini. Dimissioni? Se il partito non me lo chiede, non faccio un passo indietro. Ho la certezza di poter contare su chi mi ha eletto, sapendo che non mi sarei occupata di strade e acquedotti ma di migranti”.

A GAS social, che l’ha sempre sostenuta, ha parlato di un “clima politico pesante che finisce per fare indebite pressioni sulla giustizia.”

Infine, ha pubblicato una riflessione sulla sua pagina Facebook, che riportiamo integralmente:

"Sono stata zitta a lungo ma adesso sono pronta a raccontare a chiunque abbia la voglia e il tempo di ascoltare quello che ho visto a Como: delle ferite ancora aperte, delle donne stuprate, dei minori respinti. Di come quel parco antistante la stazione si sia trasformato nella dimostrazione più evidente della fine di qualunque umanità. E di come fosse impossibile fare diversamente da come ho agito. Perché quello che pesa, infine, più dell'ingiustizia, è il privilegio. Il privilegio di quel passaporto che permetteva a me di tornare a casa, a me che non ho fuggito la guerra, che non ho mai patito la fame, che non ho rischiato la vita nel deserto. Io tornavo a casa e loro restavano al parco. Anche quella ragazza il cui fratello era morto nel naufragio dell'imbarcazione sulla quale viaggiavano entrambi; anche quell'uomo che aveva trascorso dieci mesi attaccato ad un muro da una catena. Non la tiro lunga, sono a Belgrado, anche qui disperata umanità senza diritti. È come sempre più utile fare che parlare ma sono pronta a raccontare, ma non è una bella storia".
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