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19.02.2019 - 14:160

Pontiggia stronca la CPI. "La gravità del caso Argo è un altro. Ma non fa rumore sui social..."

Per il direttore del Corriere del Ticino, è stata l'onda emotiva della trasmissione di Falò a spingere a istituire la Commissione parlamentare d'inchiesta. "Un esercizio inutile e dispendioso, non ha scoperto niente di nuovo"

BELLINZONA – Che Fabio Pontiggia non fosse fan della CPI sul caso Argo si sapeva, ma nel suo editoriale di oggi l’ha detto ancora, molto chiaramente. La montagna ha partorito, a suo dire, un topolino.

“Nella seduta di ieri il Gran Consiglio ha concluso penosamente un iter – quello dell’inchiesta parlamentare – che sarebbe stato molto meglio non attivare. Il risultato conseguito è nullo. Il lungo lavoro che ha impegnato per mesi e mesi la CPI non ha portato niente di nuovo a conoscenza del Paese, niente che non fosse già stato indagato e chiarito dalle altre istanze che si sono occupate della vicenda (Ministero pubblico, Controllo cantonale delle finanze, Governo, sottocommissione di vigilanza, perito esterno)”, scrive. “Un esercizio – lo ribadiamo – inutile e dispendioso”.

A suo dire, le raccomandazioni finali sono di “una genericità disarmante, anche su questioni banali e ininfluenti” e creerebbero solo ulteriore burocrazia.

“Perché allora si è messa in piedi la macchina della CPI? La ragione, purtroppo, è che anche il nostro sistema politico è oramai divenuto preda di quella che Massimo Gramellini ha definito la «dittatura dell’impulso». L’ondata emotiva suscitata sulle reti sociali da determinati eventi, condita con sospetti infamanti fatti balenare senza uno straccio di prova, induce ad adottare decisioni non ponderate, nella convinzione che quella sia la strada da seguire per placare l’indignazione digitale”, prosegue. In questo caso, l’evento era stata la trasmissione di Falò, che insinuava una possibile corruzione di un dipendente dell’amministrazione per aver ricevuto una vacanza dai responsabili di Argo. “Un’insinuazione, un sospetto, dimostratisi poi del tutto infondati. Ma un impulso sufficiente per attivare la CPI. È proprio vero che la gatta frettolosa fa i micini ciechi. E se la fretta è cattiva consigliera, il più delle volte la montagna partorisce topolini”.

Per il direttore del Corriere del Ticino, una CPI si istituisce se “eventi di grande portata istituzionale nel Cantone richiedono uno speciale chiarimento”: per lui, il caso Argo 1 non lo era, bensì si trattava di “un atto di superficialità e faciloneria compiuto nell’affrontare un’emergenza: l’afflusso massiccio di migranti dal sud Italia che aveva causato un forte aumento delle domande d’asilo in Ticino. L’intento dei funzionari, che non hanno rispettato le leggi nell’attribuire e nel rinnovare il mandato, era semplicemente agire in modo rapido risparmiando sui costi. Il consigliere di Stato Paolo Beltraminelli ha avuto il torto di firmare il contratto di prova di cinque mesi senza sottoporre la decisione al Consiglio di Stato. I funzionari quello di rinnovarlo tacitamente senza più nemmeno coinvolgere il consigliere di Stato. Ma non c’è stata corruzione, in nessun caso. E non c’è stato spreco di danaro pubblico (al contrario, c’è stata una spesa inferiore)”. Anzi, la risoluzione governativa sarebbe stata firmata, “se i funzionari del DSS e Beltraminelli avessero rispettato tutte le procedure legali”.

Secondo lui, il fatto grave della storia è un altro. “La superficialità e la fretta nell’attribuzione del mandato alla Argo1 hanno permesso a un reclutatore di terroristi islamici di lavorare per un servizio pubblico e di entrare in contatto con il mondo dei migranti ospitati nei centri appositamente allestiti in Ticino. Un contatto inquietante, che la CPI ha affrontato distrattamente, liquidandolo in un paio di righe nel suo noiosissimo e inconcludente rapporto. Su Facebook e su Twitter questo (dettaglio) non aveva fatto scalpore”.

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