IL BLOG DI DON GIANFRANCO
Don Gianfranco Feliciani: “Quale pace a Gaza?”
L’aspetto “immobiliarista” dell’operazione con il suo tornaconto economico, non fa forse pensare a un nuovo colonialismo?

Dopo due anni di morte e di distruzione, è finalmente arrivata la pace a Gaza? Tutti lo speriamo.
L’impegno a firmare la pace e a fermare la violenza è stato motivo di gioia a Gaza, in Cisgiordania, in Israele, in Palestina e nel mondo intero.

Ora, però, si tratta di realizzare concretamente la pace, alla cui costruzione devono partecipare i popoli che hanno diritto a vivere nella stabilità e nella sicurezza di una convivenza pacifica. Il frutto naturale della pace dovrà essere il riconoscimento dello Stato palestinese: due popoli e due Stati, Israele e Palestina.

È da decenni che si parla di questo, e a un certo momento sembrava quasi di esserci arrivati. Oggi, invece, questo sogno appare quasi svanito, anche se tutto il mondo continua a invocarlo. Nel piano di pace per Gaza non si parla della destinazione dei due milioni e mezzo di palestinesi, costretti a vivere come cani randagi in situazioni disumane e inimmaginabili. Nessuno li vuole.

E allora, quale pace si vuole costruire? Quella imposta da Trump? E da lì non si scappa: o questa pace, o l’inferno! Uno degli obiettivi previsti sarebbe la presenza di Trump e dell’ex primo ministro britannico Tony Blair nel ruolo di supervisori della futura gestione di Gaza.

L’aspetto “immobiliarista” dell’operazione — la cosiddetta Riviera di Gaza — con il suo tornaconto economico, non fa forse pensare a un nuovo colonialismo? La realizzazione del “Bengodi” proprio là dove 67.000 palestinesi, di cui 20.000 bambini, sono stati massacrati in questi due anni.

Ma la pace non si costruisce con i ricatti, le minacce, le imposizioni e le speculazioni finanziarie.
Per fortuna, non tutto è nelle mani di Trump. Nel progetto di pace per il Medio Oriente sono coinvolte anche persone sagge e degne di fiducia. Speriamo.

Il mite papa Leone è stato chiarissimo:

“La pace è disarmata e disarmante. Non è deterrenza, ma fratellanza; non è ultimatum, ma dialogo. Non verrà come frutto di vittorie sul nemico, ma come risultato di semine di giustizia e di coraggioso perdono.”

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