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Cronaca
08.11.2018 - 15:390
Aggiornamento: 20:30

Un messaggio di speranza. "Il lavoro c'è per tutti. Ecco come trovarlo"

Andrea Bettosini è diventato collaboratore di Ticino&Lavoro e ci parla di flessibilità, rete attiva, competenze trasversali. "C'è chi ci metterà di più e chi di meno. Puntate sull'autocandidatura"

BELLINZONA – Il lavoro c’è per tutti, basta mettere in campo gli strumenti giusti. È un messaggio di speranza quello che lancia Andrea Bettosini, da ieri ufficialmente nuovo collaboratore di Ticino&Lavoro. 

Lo abbiamo contattato per capire cosa si deve fare per trovar lavoro e quali sono le maggiori difficoltà e i migliori trucchi per farcela. Lui è formatore, ma gli è venuta voglia di aiutare privati, in particolare chi ha difficoltà, ovvero gli over e giovani. Da lì è nata l’unione con Ticino&Lavoro.

Ha una conoscenza ampia del mercato del lavoro, come lo vede a livello ticinese?

“Il lavoro per me c’è per tutto. Ho vissuto nel mercato impiegatizio dove arrivavamo anche a collocare persone in là con gli anni. Appunto, per me a qualsiasi età, e con qualsiasi carte, si può trovare un posto: è l’essere della persona a fare la differenza e chi vuole può. Un terzo dei disoccupati è nel settore commerciale, però ogni azienda ha bisogno di un impiegato di commercio. Magari qualcuno ci metterà un po’ di più ma con la giusta volontà e con gli strumenti corretti si può arrivare. Chiaramente, una persona deve adattarsi e dare un po’ di flessibilità. Io prima lavoravo con persone della LADI e della AI, che arrivavano a volte per forza, ora chi verrà da me lo farà perché lo desidera e dunque sarà più facile. Non evidente, però quando qualcuno non è obbligato a fare qualcosa lo vuole e dunque riesce”.

Secondo lei, è vero che i ticinesi si adagiano sugli allori e non vogliono trovar lavoro?

“È un discorso globale. Ho dei colleghi di tutta la Svizzera, e per tutto vale lo stesso. Anche il Giura ha molta concorrenza limitrofa, il Ticino è simile. È vero che nella Svizzera Centrale c’è più facilità di trovare lavoro, però spesso si usano scuse (intendendo i frontalieri, ndr). Sono mercati diversi però il discorso è lo stesso. Il ticinese vuol trovar lavoro? Se vuole, ce la fa. E me lo auguro. Una volta si diceva che il disoccupato è cronico, adesso non è più così: spesso non si trova per una serie di fattori”.

Come presentarsi nel modo migliore?

“Per prima cosa, bisogna pensare a che cosa si vuol fare. Non bisogna obbligare le persone, serve essere assertivi e con l’empatia capire il bisogno di ciascuno e sostenerlo e aiutarlo. Non accettare qualsiasi cosa viene offerta? Sarà la gente a dirmi cosa vuole. Se desidera aprirsi a più settori la aiuteremo, se vuole rimanere su uno specifico lavoreremo su quello. Poi senza dubbio la rete attiva è molto importante”.

Cosa intende?

“La rete passiva, i media, vengono usati da tutti. Faccio l’esempio dei bambini che giocano a calcio: il primo giorno vanno tutti sulla palla e quando scoprono che si fanno male, cominciano a tener la zona del campo. Cercar lavoro è simile. Ogni persona deve avere una rete personale, non intendo quella degli amici, può essere col gommista o con l’estetista, una rete che nessuno conosce, propria. Da lì va creata una strategia. La strumentistica, ovvero lettera e cv, diventano un supporto. In Ticino si sa che la conoscenza è molto importante. Teniamo presente che si può creare! Io conosco il collocamento e dunque darò una mano con la mia rete, però avere la propria è utile”.

Quindi cv e lettera di presentazione non sono così importanti se si hanno conoscenze?

“Anni fa le conoscenze erano la priorità, negli anni l’autocandidatura ha preso piede. Si cerca dove non cercano, scappando quindi dalla conoscenza diretta. No, gli strumenti sono fondamentali, anche senza una rete molto sviluppata permettono di trovare. Il networking, ripeto, è basilare: anche solo crearsi un’agenda, dove si annota di chiamare le aziende dove si è inviata una candidatura, chiedere se il profilo è piaciuto. Ognuno comunque fa quello che vuole…”

Non ci sono, per cui, delle regole precise per il proprio cv?

“Deve essere molto personale, con contenuti di base. È la persona, per esempio, a scegliere se mettere la foto: se lavori al front office o nella vendita può essere importante, in contabilità o cantieri non è fondamentale. Ciascuno usa quello che si sente, e io li aiuto sia a livello di contenuto che di mezzi, se non sa usare per esempio il pc. Cosa bisogna dire in un cv? Dipende da cosa cerco. Un giovane che non ha mai lavorato può giocare sugli hobby, sul volontariato, sulle competenze personali che ha imparato magari facendo sport. Una mamma dopo anni che non lavora dice che non sa fa nulla, invece facendo la madre fai il medico e l’economo, tanto per dirne una. Sono le competenze trasversali a fare la differenza. Una persona è brava magari a lavorare, però si deve testare anche com’è. Le competenze si possono apprendere, l’essere no e molti puntano su quello”.

Lei afferma che tutti trovano, cosa dire a chi cerca da anni senza successo?

“Il filo è molto sottile. Questa è la mia convinzione, prima o poi tutti ce la fanno. Ma ci sono fattori che possono influenzare, ci sono questioni di flessibilità, adattabilità, la percentuale cercata, se ci sono figli… però se partiamo dal presupposto che con un po’ di allenamento tutti sanno fare 30 chilometri, tutti trovano anche lavoro. Dobbiamo insegnare anche alle persone a vendersi. Pensiamo a un muratore che all’improvviso deve cambiare, non si è mai venduto e non sa farlo, io dunque lavorerò su quello. Tutti potrebbero, qualcuno con sostegno maggiore, perché non conosce determinate cose che non gli sono mai state utili. C’è chi ci metterà di più e chi dovrà lavorare di più su di sé, le difficoltà ci sono e non ci si può adattare troppo se non si arriva a pagare le bollette. Trovo che con buone strategie, buona continuità, una buona rete sociale e buoni strumenti si arriva ad aiutare tutti. che non sia facile, è ovvio”.

Le categorie più difficilmente collocabili quali sono?

“Chi cerca nel terziario. Come fattore di età, la fascia migliore è sempre quella 26-35, pur essendoci la possibilità di una maternità. Per me lavorare anche con gli over 30, 40 ed anche 50 permette di farlo bene, grazie alle loro competenze. Qualcosa si può sempre ottenere, magari non per forza quello che era indicato come l’ideale. Basta che non si imponga niente. Una persona deve capire che può farcela. L’obiettivo deve essere attendibili e misurabile secondo le proprie capacità, poi si riesce”.

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