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Cronaca
05.02.2018 - 13:080
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40

La LIA vista dal Piemonte. "Le ditte che hanno lavorato in Svizzera sono l'80% in meno". "Sicuri che non si teme la concorrenza?"

A illustrare le cifre è un funzionario della Confartigianato della Regione Imprese Piemonte Orientale, mentre il presidente attacca il primanostrismo: "se si rispettano le regole dei bilaterali, ovvero stessi prezzi, sarebbe il consumatore a scegliere. Non è che si fanno gli interessi delle grandi aziende?"

BELLINZONA – Andrea Genola, colui che da sempre ha dichiarato guerra alla LIA, ancora qualche giorno fa ha inviato in redazione una nota dove fa notare come la commissione speciale continua a sollecitare il pagamento della tassa malgrado sia stato deciso di fermarsi momentaneamente: infatti, si dovrà decidere il futuro dell’albo del padroncini, e le possibilità sono delle modifiche stile dieta oppure addirittura l’abrogazione.

“I funzionari avrebbero potuto usare questa pausa per rispondere alle domande diventate anche un’interpellanza presentata dall’onorevole Mattei, dimostrando forse l’utilità dello strumento LIA dicendo: quante ditte ticinesi hanno fermato? Quanti posti di lavoro hanno fatto perdere ai ticinesi? Quanto multe a ticinesi hanno intimato e perché? Quanti dei circa 53mila richiedenti sono stati effettivamente iscritti e quanti fra questi hanno pagato il 2016 eil 2017?”. Inoltre, l’interrogativo è su quanto padroncini, ovvero ditte italiane, stiano state fermate.

Una risposta, parziale, a questo quesito viene fornito dal mensile Il Frontaliere. Marco Cerutti, funzionario dell’Ufficio categorie e relazioni con il territorio della Confartigianato Imprese Piemonte Orientale, parla di una diminuzione dell’80% di ditte della zona che hanno operato in Ticino.  “Prima dell’entrata in vigore della LIA, nel Piemonte orientale (raggruppa le province di Vercelli, Novara e Vco, ndr) oltre 250 imprese effettuavano prestazioni di servizio in Svizzera, soprattutto in Canton Ticino. Di queste, una grande parte era concentrata nel Vco. A un anno dall’entrata in vigore della LIA nel 2017, per l’intero Piemonte orientale, tra imprese che hanno ottenuto l’iscrizione e quelle ancora in fase di valutazione da parte dell’Albo svizzero, dal nostro osservatorio risulta  una restrizione a non più di 50 imprese. Quindi, una diminuzione dell’80% soltanto nel 2017: percentuale destinata a crescere anche nel 2018, portando a pochissime unità le imprese disposte a continuare a entrare in Svizzera a lavorare, con ancor meno disponibilità a operare in Ticino”, spiega.

Amleto Impaloni, che di Confartigianato è il direttore, ha attaccato la politica del primanostrismo.  "Un’azione che di fatto lede sia la libera circolazione, sia la libera concorrenza nel mercato. Non comprendiamo come il popolo elvetico non voglia vedere anche gli effetti negativi che questa politica produrrà. Se da entrambe le parti si rispettassero le condizioni già previste dagli Accordi bilaterali, con particolare riferimento all’obbligo, da parte di un’impresa extra elvetica, di adottare gli stessi costi del personale previsti a carico di un’impresa svizzera, riteniamo che a parità di costi dei fattori produttivi dovrebbe essere la libera concorrenza a discriminare chi può o deve operare, lasciando così la parola ai consumatori. Sono sicuri gli svizzeri che attuando la politica del “Prima i nostri”, si stia davvero facendo l’interesse del popolo? Oppure, come spesso accade, si stanno difendendo le grandi imprese che temono la concorrenza?”
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