CRONACA
La verità di Sansonetti: "Chi ha realmente pagato per il caso Argo?". E accusa più Gobbi che Beltraminelli
Recensione del libro scritto dalla figlia di uno dei protagonisti della vicenda di Argo 1. Oltre alla storia personale, da cui emerge un senso di persecuzione, prova a rispondere alla domanda: "Perchè?"

BELLINZONA – Il caso Argo 1 colpì in modo importante l’opinione pubblica ticinese, perchè gettò davanti agli occhi di tutti una realtà con una (possibile) corruzione. Ha portato fuori dalla porta di casa vicende, accuse e parole che sino a quel momento venivano riferite alla vicina Italia o a ambienti decisamente più grandi. Che il Ticino potesse essere una terra con politici corrotti, con favori e contro favori in appalti milionari, fu uno shock per tanti, mentre per molti era solo il segreto di Pulcinella che veniva a galla.

Fatto sta che il caso tenne banco per mesi e mesi, arrivando anche a una Commissione Parlamentare di inchiesta. Che cosa accadde, davvero? Marco Sansonetti, responsabile di Argo 1, arrestato con quattordici ipotesi di reato, divenne ben presto il personaggio cardine, la persona attorno a cui pareva ruotare tutto, quanto meno nella narrazione comune. Anni dopo, fa sentire la sua voce attraverso un libro, raccontando la sua verità. A scrivere le 160 pagine dal titolo "Quando il potere è nelle mani sbagliate" è stata la figlia Marlise, adolescente, che ai tempi in cui scoppiò lo scandalo e suo padre finì in carcere aveva solo 12 anni.

La domanda di fondo a cui cerca di rispondere la narrazione è: perché? Come mai quello che viene definito da Sansonetti una sorta di accanimento contro la sua agenzia (ma sua nel senso che, racconta, impiegava ore e forze anche al di là dei suoi reali doveri, non dal punto di vista legale e amministrativo, dettaglio che sicuramente può fare la differenza)? Da quasi tutti i reati ipotizzati è stato assolto, dopo oltre due anni di quella che lui chiama una gogna mediatica. Come spesso accade, l’accusa e l’arresto hanno avuto una risonanza decisamente maggiore rispetto all’assoluzione. Si potrebbe dire, sporcare un’immagina fa più rumore che ripulirla. Ma da che il mondo è il mondo, nel giornalismo, giusto o sbagliato, funziona così.

Sansonetti però, assecondando il bisogno della figlia, ha voluto farsi sentire. Ha parlato della sua vicenda umana, della reclusione, di quando si è trovato in una cella di isolamento con un solo cambio di biancheria. Di una vita stravolta e di una famiglia sotto assedio. Del dolore della ex compagna, di cui viene riportata una struggente lettera scritta quando lui era in prigione, della figlia, della famiglia intera. Del senso di persecuzione con cui ha vissuto, della spasmodica attesa di una assoluzione che mai arrivava.

Racconti forti, al di là dei quali il protagonista principale, suo malgrado, della vicenda prova a smontare pezzo per pezzo le accuse. Narra, forse per la prima volta, che cosa facesse Argo 1 all’interno dei campi profughi e soprattutto la controversa serata in cui un richiedente l’asilo minorenne è stato ammanettato alla doccia per ore. Ripercorre gli eventi, momento per momento ed emozione per emozione, con precisi fotogrammi della sua azione, declinando poi ogni responsabilità, dato che la decisione fu, dice, della Polizia. Alle accuse varie replica con i fatti, con estratti successivi di interrogatori, con le sentenze, con quella che è la sua verità.

E con amarezza risponde: il perché lui lo sa. Creare uno scandalo era l’unico modo, sostiene, per far fuori Argo 1, con l’intento di spazzare via una agenzia di sicurezza per piazzare al suo posto in un ruolo ambito e redditizio, ancorchè non semplice, come quello dei centri asilanti, in un momento di grande fermento, amici degli amici. Sansonetti non ha dubbi, a suo avviso il deus ex machina di tutto non è Paolo Beltraminelli, a modo suo finito a sua volta nel tritacarne, costatogli il seggio a Bellinzona, bensì Norman Gobbi. Lui era in rapporti di amicizia col responsabile dell’agenzia che sostituì Argo, lui vi aveva trascorso per anni delle ferie assieme alle famiglie. Ma nessuno ebbe mai il sospetto che potesse esserci del favoritismo.

L’autrice, parlando per il padre, non risparmia critiche alla giustizia ticinese, al suo modo di fare,  a come sono stati condotti gli interrogatori. “E la Giustizia in tutto questo dov’è? Chi ha realmente pagato pegno e chi è passato realmente indenne dalla tempesta politica, giudiziaria e mediatica di questa vicenda? Una vicenda complessa che ritengo abbia ancora molti punti oscuri da chiarire e che, se affrontati con giudizio, potrebbero riservare sorprese importanti”, si legge a pagina 131. E ancora, a pagina 113, dove parla dell’inchiesta RSI, che contesta in toto, e di articoli apparsi su di lui in Italia in merito alla relazione con la sua ex, una famosa artista: “In quel caso la giustizia italiana è stata molto più efficace ed efficiente rispetto a quella svizzera”.

Cosa esce, da questo libro? L’accusa alla magistratura che non ha mai voluto, secondo Sansonetti, indagare sui rapporti amichevoli del Ministro del Dipartimento. A livello politico, al Consigliere di Stato Gobbi, in primis. Il ruolo del Consigliere di Stato Beltraminelli che non era dopotutto così rilevante. La storia umana di Sansonetti, indubbiamente incontestabile. Qualche punto interrogativo che ancora resta.

Qualcuno replicherà?

Paola Bernasconi

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