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14.09.2018 - 19:180

"Ordinaria disumanità". Lisa Bosia sulla donna eritrea rinviata ieri, "come i Kapò"

La socialista commenta il prelevamento dal Centro di Cadro. "Tenere qui una famiglia simile costa massimo 50mila franchi, non li abbiamo?"

CADRO - Prelevata all’alba, senza la possibilità di cambiare il figlio più piccolo, e rimpatriata (al momento si troverebbe a Brindisi) con due bimbi, di cui una epilettica, con un ritardo mentale e costretta sulla sedia a rotelle. La vicenda di una donna eritrea, espulsa ieri dal centro rifugiati di Cadro, ha indignato molti.

Non le manda a dire, Lisia Bosia Mirra, gran consigliera del PS, da sempre impegnata con gli immigrati. “Ordinaria disumanità, direi”, ci dice. “Non è la prima volta che queste volte accadono, purtroppo in Svizzera troppo spesso non si tiene conto della situazione di fragilità delle persone che vengono rinviate. Abbiamo il triste primato di essere i campioni di rinvio Dublino, in particolare sull’Italia. Ai tempi era stata fatta una raccolta firme, depositata qualche mese fa per sensibilizzare il Parlamento sia sui rinvii delle donne sia per situazioni di fragilità”.

Lei ricorda casi di persone con problemi psichiatrici gravi portati soprattutto a Milano e abbandonati a loro stessi. “Penso a un signore che aveva delle gravi ustioni, un eritreo. Aveva giocato una partita con i deputati del Gran Consiglio, anche degli articoli avevano parlato di lui, poi tre giorni dopo è stato rinviato in Austria e non si sa che fine abbia fatto e se sia stato curato. Citerei la storia di un’altra volontaria, di circa settant’anni, che per aiutare una persona mandata via, ha cercato di portarlo in Svizzera di nuovo dalla sorella, ha ricevuto un decreto d’accusa e come me ha deciso di andare a processo”.

Le chiediamo cosa prova quando sente di casi simili. “Provo un enorme sconforto. Sono anni che queste cose vanno avanti, anni che si denunciano. L’atteggiamento delle Istituzioni, quando decidono di eseguire queste operazioni, è analogo secondo me a quello dei Kapò. Le direttive, loro dicono, vanno fatte eseguire, ma c’è un aspetto umano che viene del tutto trascurato”.

Cosa ritiene si debba fare in casi come quello della bimba malata? “Rilasciare una protezione umanitaria. Per me in primis sbaglia la Confederazione, indubbiamente mette il Cantone in una situazione difficile, però in questo caso potevano lasciar scadere il termine… I rinvii, tra l’altro, hanno costi esorbitanti. Certo che una donna con una bambina malata e un altro piccolo è difficilmente inseribile e non può essere considerata una risorsa dal punto di vista economico, però ci sarebbe l’aspetto umano. Siamo così poveri e meschini da non poter aiutare una bambina malata? Poi gettiamo milioni di franchi… Per tenere al Centro una famiglia così composta si aggireranno all’anno al massimo attorno ai 50mila franchi, non possiamo spenderli per qualcuno che ha così bisogno?”, è la sua sconsolata domanda.

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