Don Feliciani: "E mentre il mondo democratico tace o giustifica, Gaza brucia. Le bombe non distinguono tra terroristi e bambini, tra miliziani e madri in fuga"
di Don Gianfranco Feliciani
L’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Yaron Sideman, ha recentemente giustificato l’intervento militare contro l’Iran con parole tanto sobrie quanto pesanti: “Israele non ha intrapreso una guerra con l’Iran, ma un’operazione militare volta ad eliminare un’imminente minaccia... La guerra dovrebbe essere sempre l’ultima opzione, ma ciò non significa che non sia affatto valida qualora tutte le altre fallissero”.
E ancora: “Concordo con Papa Leone quando afferma che il mondo dovrebbe essere liberato da ogni minaccia nucleare, ma Teheran vuole distruggere con la bomba atomica il nostro Stato e noi non abbiamo avuto scelta”.
Ma davvero non c’erano alternative? È qui che iniziano le domande difficili, quelle che nessuno vuole affrontare. Perché l’Iran vuole l’atomica? Perché anche Israele ce l’ha. Ma ciò che a Teheran è vietato, a Tel Aviv è consentito. Con il beneplacito — o la complicità — degli Stati Uniti, Israele ha consolidato il suo ruolo di potenza egemone in Medio Oriente, legittimando a sé ciò che rifiuta agli altri.
Sotto il manto della “sicurezza nazionale” e dell’“autodifesa”, si celano anni di escalation, provocazioni reciproche, dominio territoriale e colonizzazione. E mentre il mondo democratico tace o giustifica, Gaza brucia. Le bombe non distinguono tra terroristi e bambini, tra miliziani e madri in fuga. E a ogni raid, a ogni vendetta, si avvicina il rischio di un punto di non ritorno.
E allora ci chiediamo: si può davvero esportare la democrazia con la violenza? Possiamo continuare a chiudere gli occhi davanti al fatto che, per colpire un nemico, si distrugge un intero popolo?
È difficile rispondere. Perché queste domande non interrogano solo i governi: interrogano ciascuno di noi. Feriscono il nostro orgoglio, mettono a nudo le nostre ipocrisie, ci costringono a riconoscere — come dicevano i Padri del deserto — che “colui che riconosce i propri peccati è più grande di colui che risuscita i morti”.
E invece si preferisce tacere, o peggio: colpire, attaccare, distruggere. Per poi scoprire, troppo tardi, che distruggere l’altro è sempre l’inizio della propria rovina.
In questo scenario cupo, la voce del Papa — una delle poche rimaste davvero universali — si alza limpida:
“La situazione internazionale è veramente preoccupante... Non dobbiamo abituarci alla guerra... La guerra è sempre una sconfitta”.
Lo è per chi la inizia, per chi la subisce, per chi la guarda e non interviene. È la sconfitta dell’umanità. E continuerà a esserlo, fino a quando il coraggio della pace sarà considerato debolezza e l’orrore della guerra sarà ancora definito “necessario”.