TRIBUNA LIBERA
Andrea Togni: "I Mori, i “woke” e la revisione storica"
"Mi permetto sollevare un grido di attenzione sulle possibili conseguenze sociali se le correnti attuali continuassero indisturbate, verso una società post-genere, post-diverso, post-storia, valori e tradizioni"
TiPress

di Andrea Togni *

Attenzione a non discriminare chi cerca di perpetuare le nostre tradizioni, senza evocare nulla di negativo, né di negazione degli errori che l'umanità tutta (in ogni dove ed in ogni epoca), ha commesso e commette.

I Mori, balzati alle cronache negli scorsi giorni, nelle rappresentazioni religiose, assumono significati diversi a seconda del contesto e della tradizione specifica in cui appaiono. Raffigurare uno dei Re Magi come un Moro dovrebbe essere visto non solo come un simbolo del verbo rivolto a tutti, ma anche come un'opportunità per riconoscere e valorizzare la diversità storica e la ricchezza culturale che da essa deriva! Anche quando il raffigurante è un attore che si è colorato il volto.

Nelle processioni pasquali o il presepe, i Mori possono rappresentare la diversità dell'umanità che viene a rendere omaggio alla nascita di Gesù, sottolineando l'universalità del messaggio cristiano, come pure simboleggiare i nemici della fede cristiana, rievocando le antiche lotte di religione.

La cultura "woke" ha origini negli Stati Uniti attorno agli anni '60 e si basa sull'idea di essere "svegli" e consapevoli delle ingiustizie sociali, in particolare riguardo al razzismo e alla disuguaglianza sociale. Originariamente, si perseguiva un atteggiamento di solidarietà verso chi subiva questi soprusi, promuovendo l'impegno per una società più equa. Ben venga!

Con il passare del tempo, e soprattutto con la diffusione di movimenti più recenti, il termine "woke" ha acquisito notorietà e si è diffuso nell'uso comune, assumendo anche connotazioni negative per via della politicizzazione e dell'estremismo di alcuni suoi sostenitori. Questa deriva estrema ha portato l'evoluzione della sensibilità verso chi era definito “diverso”, rendendo ogni concetto ad esso riferito un tema dominante con effetti su politiche globali, percezione dell'identità e libertà di espressione. Il concetto di revisionismo storico assume un ruolo significativo nel modo in cui interpretiamo e valutiamo queste tradizioni alla luce delle comprensioni contemporanee della storia e della sensibilità culturale.

Mi permetto sollevare un grido di attenzione verso la manipolazione linguistica e, ancor di più, nei confronti della tendenza al revisionismo storico, e alle possibili future conseguenze sociali se le correnti attuali continuassero indisturbate, verso una società post-genere, post-diverso, post-storia, valori e tradizioni.

Che sia chiaro, non sono contro il diverso, né a favore di qualsiasi discriminazione, ma sono per una società composta da persone diverse (per colore della pelle, cultura, religione, …). Valorizzare (non enfatizzare) la diversità, si contrappone proprio con l’orrore realizzato nei campi di concentramento, nei quali si privano le persone di ogni loro caratteristica identitaria, spogliandole di beni e affetti, rendendole tutte uguali tra loro così da apparire poi come esseri informi e privi di ogni valore umano da poter sterminare.

Al posto di togliere (giustamente!) dalla discriminazione chi l’ha subita, si sta provando a livellare tutto. Amalgamare ogni e qualsiasi cosa, portando per assurdo ad additare chi preserva le tradizioni. Stiamo assistendo ad un’ondata di censura accademica, difficilmente comprensibile per coloro i quali considerano, le tradizioni ed i personaggi delle rappresentazioni storiche, parte integrante della nostra cultura.

* candidato PLR al Municipio e al CC di Lugano

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