Don Feliciani ripercorre alcuni testi antichi, da Ovidio alla Bibbia, che parlano dell'uomo e del tempo

di Don Gianfranco Feliciani
Eccoci all’inizio di un nuovo anno, che naturalmente ci auguriamo buono e felice, ed eccoci ancora una volta confrontati con il mistero formidabile e insieme drammatico del tempo. Se è vero, infatti, che tutti brindiamo allegramente all’inizio di un nuovo anno, è altrettanto vero come lo scorrere inesorabile del tempo faccia emergere dentro di noi interrogativi inquietanti. Il poeta latino Ovidio (I sec. a.C.) definiva il tempo “edax rerum”, cioè un vorace e implacabile consumatore di tutte le cose. Insomma, il tempo è quella dimensione che più aderisce alla nostra condizione di creature fragili e destinate alla morte.
Questa forte consapevolezza dell’effimero in cui siamo immersi è assai presente nella Bibbia. Così, ad esempio, si esprime il salmista: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, e il loro agitarsi è fatica e delusione; passano presto e noi voliamo via” (Salmo 90,10). E ancora: “L’uomo: come l’erba sono i suoi giorni! Come un fiore di campo, così egli fiorisce. Se un vento lo investe, non è più, né più lo riconosce la sua dimora” (Salmo 103,15-16). E il disincantato e provocatorio Qoèlet: “Vanità delle vanità: tutto è vanità. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire” (1,2; 3,2).
Ma il tempo, nella Bibbia, non è concepito come un inesorabile dissolversi di giorni e di anni nel baratro del nulla e del non-senso, bensì come un cammino che guida la storia dell’uomo, nonostante tutte le sue tragedie, a un sicuro e felice traguardo. Meravigliosa, al riguardo, è la visione che l’ultimo libro della Bibbia ci raffigura presentando come approdo finale della tribolata vicenda umana quella nuova Gerusalemme in cui non ci sarà più né sofferenza né morte. “E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate. E Colui che sedeva sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Apocalisse 21,4-5).
Dentro il nostro quotidiano e affannoso confronto con il “tempus edax rerum”, facciamo quindi spazio alla speranza e alla gioia, poiché il tempo che ora ci sta logorando e consumando è il luogo nel quale già ci è dato di sperimentare la festa del Paradiso che Dio ha preparato per tutti i suoi figli!